Cosa causa il caro-bollette?
Da alcuni mesi ormai si registrano rincari nelle bollette elettriche e del gas, un problema non limitato all’Italia ma che coinvolge anche molti altri paesi in Europa, rappresentando non solo un peso per la spesa mensile delle famiglie, ma anche causa di gravi difficoltà per le piccole e medie imprese costrette in molti casi ad aumentare il pezzo finale dei prodotti.
A cosa sono dovuti gli aumenti in bolletta?
La causa di questi rincari, che erano stati stimati in Italia del 65% della bolletta dell’elettricità e del 59,2% di quella del gas per le famiglie, è da imputarsi al rialzo dei prezzi dei prodotti energetici all’ingrosso (quasi raddoppiati nei mercati spot del gas naturale e dell’energia elettrica nel periodo settembre-dicembre 2021) e dei permessi di emissione di CO2.
L’aumento della materia prima va a incidere su quella parte di bolletta relativa ai servizi di vendita, ossia le voci legate all’energia e all’approvvigionamento al cliente finale e che dipendono in parte dal consumo effettivo. Questa voce copre anche il 50% dell’importo della bolletta, che si compone sommando poi gli oneri per i servizi di rete (ovvero le tariffe di trasporto, distribuzione e misura dell’energia elettrica o del gas), gli oneri di sistema (costi accessori) e le imposte (in base al tipo di utenza).
Per fare fronte a questi aumenti, il Governo ha stanziato a più riprese fondi e previsto misure per cercare di contenere questi rincari nel breve periodo. Questi interventi emergenziali avranno l’effetto di ridurre i rincari, ma non di fermarli completamente, secondo le stime di ARERA gli aumenti per famiglia saranno comunque del +55% per la bolletta dell’elettricità e del +41,8% per quella del gas per il primo trimestre del 2022.
Qual è il contesto energetico italiano?
Secondo i più recenti dati di Terna, la domanda di energia elettrica in Italia nel 2020 è stata pari a 301,2TWh, con una flessione del 5,8% rispetto all’anno precedente. Mentre il parco di generazione termoelettrico si è mantenuto sostanzialmente stabile, quello delle fonti rinnovabili ha continuato a crescere. Della potenza complessiva installata, il 53,1% è di tipo termoelettrico, alimentato a fonti fossili, a coprire circa il 65,9% della produzione nazionale. Tra queste, il gas naturale copre il 71,3%. Per quanto riguarda le sole fonti rinnovabili, queste coprono il 38% della domanda di energia elettrica, pari a poco oltre il 20% della domanda energetica complessiva.
In questi anni si sono registrate importanti riduzioni dei consumi di gas fossile. Grazie a inverni meno rigidi, all’aumento del contributo delle fonti rinnovabili, al miglioramento ed efficientamento del parco edilizio. A questo si aggiunge la chiusura definitiva delle centrali a carbone entro il 2025, che andrebbe sostituita da una forte politica di installazioni delle fonti rinnovabili, accompagnate da grandi e importanti investimenti sulla rete e sugli accumuli, per raggiungere gli obiettivi climatici.
Al momento però, invece di questa spinta verso le rinnovabili, si assiste a una corsa al gas. Erano, a luglio 2021 almeno 110 le infrastrutture a gas, tra nuove realizzazioni, ampliamenti di centrali, metanodotti, depositi, rigassificatori e nuove richieste di estrazioni, in valutazione dal Ministero dell’Ambiente e diffuse in quasi tutte le Regioni italiane.
Di contro, le rinnovabili vedono un costante ma lento aumento, che si traduce in 0,8 GW di potenza media annua installata negli ultimi 7 anni a causa della burocrazia e della opposizione dai territori, a fronte dei 9 GW annui da installare da qui al 2030.
Secondo i più recenti dati di Terna, la domanda di energia elettrica in Italia nel 2020 è stata pari a 301,2TWh, con una flessione del 5,8% rispetto all’anno precedente. Mentre il parco di generazione termoelettrico si è mantenuto sostanzialmente stabile, quello delle fonti rinnovabili ha continuato a crescere. Della potenza complessiva installata, il 53,1% è di tipo termoelettrico, alimentato a fonti fossili, a coprire circa il 65,9% della produzione nazionale. Tra queste, il gas naturale copre il 71,3%. Per quanto riguarda le sole fonti rinnovabili, queste coprono il 38% della domanda di energia elettrica, pari a poco oltre il 20% della domanda energetica complessiva.
In questi anni si sono registrate importanti riduzioni dei consumi di gas fossile. Grazie a inverni meno rigidi, all’aumento del contributo delle fonti rinnovabili, al miglioramento ed efficientamento del parco edilizio. A questo si aggiunge la chiusura definitiva delle centrali a carbone entro il 2025, che andrebbe sostituita da una forte politica di installazioni delle fonti rinnovabili, accompagnate da grandi e importanti investimenti sulla rete e sugli accumuli, per raggiungere gli obiettivi climatici.
Al momento però, invece di questa spinta verso le rinnovabili, si assiste a una corsa al gas. Erano, a luglio 2021 almeno 110 le infrastrutture a gas, tra nuove realizzazioni, ampliamenti di centrali, metanodotti, depositi, rigassificatori e nuove richieste di estrazioni, in valutazione dal Ministero dell’Ambiente e diffuse in quasi tutte le Regioni italiane.
Di contro, le rinnovabili vedono un costante ma lento aumento, che si traduce in 0,8 GW di potenza media annua installata negli ultimi 7 anni a causa della burocrazia e della opposizione dai territori, a fronte dei 9 GW annui da installare da qui al 2030.
Quali sono le soluzioni?
Gli interventi del Governo sopra citati hanno avuto l’obiettivo di tamponare gli aumenti in bolletta, ma questi non sono né risolutivi e né sostenibili a lungo termine. Accanto a queste misure di emergenza, bisogna affrontare il problema principale che li causa, ovvero l’aumento della componente energia e quindi della materia prima.
Le anticipazioni e dichiarazioni da parte di esponenti del Governo, a partire dal ministro Cingolani, sulle misure per far fronte al caro bolletta indicano la strada di un aumento delle estrazioni nazionali di gas, oltre al prelievo di risorse dal Sistema per lo scambio di quote emissione di gas a effetto serra dell’UE (EU ETS), una delle principali misura dell’Unione Europea per la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra nei settori industriali a maggior impatto sui cambiamenti climatici. A questo si aggiunge il ritorno al nucleare come via per ridurre la dipendenza del nostro paese dalle fonti fossili, soluzione che però, al netto dei temi della sicurezza e dei costi di realizzazione delle centrali, non vedrebbe l’entrata in funzione di nuovi impianti prima di almeno 10 anni.
Le Direttive europee, prevedono che le risorse che derivanti dall’ETS siano destinate all’innovazione e alle politiche di decarbonizzazione. Di fatto, si andrebbe a togliere risorse per le rinnovabili, per alimentare ulteriormente il settore della produzione di energia da fonti fossili, settore già ampiamente sostenuto da 12,86 miliardi di euro l’anno di sussidi (al 2020 – fonte: elaborazione Legambiente su dati MiTE). Anche la proposta di potenziare l’estrazione di gas dal territorio nazionale si scontra in primis con gli obiettivi climatici europei, ma soprattutto con la scarsità della risorsa. Se andassimo ad estrarre tutte insieme le riserve certe di gas dal nostro territorio, ci renderebbe indipendenti per poco più di 7 mesi.
Per contrastare il caro-bolletta la soluzione migliore è invece sbloccare lo sviluppo delle rinnovabili, favorire la creazione di comunità energetiche sul territorio, strutturare politiche di efficienza energetica.
Lo sviluppo delle rinnovabili è fermo al palo, a causa principalmente di lentezze burocratiche. I 400 MW sbloccati dal ministro Cingolani rappresentano appena un 5% di quanto occorrerebbe fare annualmente per conseguire gli obiettivi climatici europei al 2030. Se anche solo il 50% delle rinnovabili oggi sulla carta arrivasse al termine dell’iter autorizzativo, l’Italia avrebbe già raggiunto tali obiettivi e alleggerito la sua dipendenza dalle fonti fossili.
Le comunità energetiche prevedono che l’energia prodotta da rinnovabili possa essere condivisa da una serie di consumatori (tipicamente privati cittadini, PMI e Amministrazione Pubbliche), potendo tra le altre cose contribuire a ridurre i loro costi di approvvigionamento dell’energia.
Con adeguate politiche di efficienza energetica, da qui al 2030, si potrebbe portare tutti gli edifici, residenziali e non, a ridurre i consumi di almeno il 50%, in linea anche con le proposte europee.
A cosa sono dovuti gli aumenti in bolletta?
La causa di questi rincari, che erano stati stimati in Italia del 65% della bolletta dell’elettricità e del 59,2% di quella del gas per le famiglie, è da imputarsi al rialzo dei prezzi dei prodotti energetici all’ingrosso (quasi raddoppiati nei mercati spot del gas naturale e dell’energia elettrica nel periodo settembre-dicembre 2021) e dei permessi di emissione di CO2.
Secondo ARERA, il prezzo spot del gas naturale al TTF (il mercato di riferimento europeo per il gas naturale) è aumentato, da gennaio a dicembre di quest’anno, di quasi il 500%, mentre, nello stesso periodo, il prezzo della CO2 è più che raddoppiato. L’aumento esponenziale del prezzo del gas si è immediatamente riversato sul valore del PUN (Prezzo Unico Nazionale) cioè il prezzo dell’elettricità all’ingrosso.
L’aumento della materia prima va a incidere su quella parte di bolletta relativa ai servizi di vendita, ossia le voci legate all’energia e all’approvvigionamento al cliente finale e che dipendono in parte dal consumo effettivo. Questa voce copre anche il 50% dell’importo della bolletta, che si compone sommando poi gli oneri per i servizi di rete (ovvero le tariffe di trasporto, distribuzione e misura dell’energia elettrica o del gas), gli oneri di sistema (costi accessori) e le imposte (in base al tipo di utenza).
Il costo per l’approvvigionamento di energia è passato 20,36 centesimi di euro a metro cubo nel primo trimestre del 2021, a 53,34 centesimi a mc nell’ultimo trimestre dell’anno. In questo stesso periodo, tutte le altre voci di commercializzazione e trasporto sono rimaste sostanzialmente invariate mentre sono diminuiti oneri di sistema e imposte
Per fare fronte a questi aumenti, il Governo ha stanziato a più riprese fondi e previsto misure per cercare di contenere questi rincari nel breve periodo. Intervenendo con l’annullamento transitorio degli oneri generali di sistema in bolletta, il potenziamento del bonus sociale alle famiglie in difficoltà, la riduzione dell’Iva sul gas al 5% per il trimestre settembre-dicembre 2021. Questi interventi emergenziali avranno l’effetto di ridurre i rincari, ma non di fermarli completamente, secondo le stime di ARERA gli aumenti per famiglia saranno comunque del +55% per la bolletta dell’elettricità e del +41,8% per quella del gas per il primo trimestre del 2022.
Qual è il contesto energetico italiano?
Secondo i più recenti dati di Terna, la domanda di energia elettrica in Italia nel 2020 è stata pari a 301,2TWh, registrando una flessione del 5,8% rispetto all’anno precedente. La domanda è stata soddisfatta per l’89,3% da produzione nazionale destinata al consumo e per la quota restante (10,7%) dalle importazioni nette dall’estero, in diminuzione del 9,5% rispetto al 2019.
Sempre secondo Terna, la potenza efficiente lorda di generazione, al 31 dicembre 2020, è risultata pari a 120,42GW, con un incremento di 1GW pari al +0,9% rispetto al dato dello scorso anno. Mentre il parco di generazione termoelettrico si è mantenuto sostanzialmente stabile, quello delle fonti rinnovabili ha continuato a crescere, con un incremento generale pari al 2,0% ed una potenza di 56,59 GW che rappresenta il 47% della potenza totale installata nel nostro Paese.
Nel 2020, il parco di generazione era costituito da circa 960mila impianti complessivi, tra fonti rinnovabili e fonti fossili. Tra questi si contavano 935.838 impianti solari fotovoltaici, 13.141 altri impianti rinnovabili e 6.449 centrali termoelettriche da fossile.
Della potenza complessiva installata nel nostro Paese, il 53,1% è di tipo termoelettrico, alimentato a fonti fossili. Queste centrali sono in grado di coprire circa il 65,9% della produzione nazionale, pari a 201,8 TWh (nel 2019) e con una potenza efficiente lorda di 61,6 GW. Tra queste, il gas naturale con 45,2 GW di potenza copre la fetta maggiore, di cui 41,8 GW per la generazione elettrica in grado di coprire il 71,3% della produzione termoelettrica di origine fossile, mentre i combustibili solidi (principalmente carbone), soddisfano il 10% dei consumi elettrici nazionali. Per quanto riguarda le sole fonti rinnovabili, queste coprono il 38% della domanda di energia elettrica, pari a poco oltre il 20% della domanda energetica complessiva.
Il gas naturale, ad oggi, la fa quindi ancora da padrone. In questi anni però si sono registrate importanti riduzioni dei consumi di gas fossile. Grazie a inverni meno rigidi, all’aumento del contributo delle fonti rinnovabili, al miglioramento ed efficientamento del parco edilizio. Confrontando i consumi del biennio 2010/2011 e del 2019/2020, non solo si registra una riduzione delle importazioni del 9,5%, passando da 65,9 milioni di tep a 59,6, ma anche della produzione nazionale che si riduce del 44%. Con un consumo interno lordo che passa dai 65 Mtep media nel primo biennio, a 59,6 con una riduzione dei consumi del 9,5%.
A questo si aggiunge la chiusura definitiva di 7.961 MW di centrali a carbone entro il 2025, così come previsto nella Strategia Energetica italiana e nel Piano Integrato Energia e Clima potenza che andrebbe sostituita da una forte politica di installazioni delle fonti rinnovabili, accompagnate da grandi e importanti investimenti sulla rete e sugli accumuli.
Al momento però, invece di questa spinta verso le rinnovabili, si assiste a una corsa al gas. Erano, a luglio 2021 almeno 110 le infrastrutture a gas, tra queste almeno 50 impianti a gas tra nuove realizzazioni, ampliamenti di centrali e riaccensioni per un totale di 20 GW, ma anche metanodotti, depositi, rigassificatori e nuove richieste sul fronte delle estrazioni di idrocarburi, in valutazione dal Ministero dell’Ambiente e diffuse in quasi tutte le Regioni italiane.
Di contro, le rinnovabili vedono un lento e costante aumento, che si traduce in 0,8 GW di potenza media annua installata negli ultimi 7 anni a causa della lentezza che si riscontra nel rilascio delle autorizzazioni, nelle procedure di Valutazione di impatto ambientale, blocchi da parte delle sovrintendenze, norme regionali disomogenee tra loro a cui si aggiungono contenziosi tra istituzioni e opposizione dai territori, a fronte dei 9 GW annui da installare da qui al 2030 per raggiungere gli obiettivi climatici.
Quali sono le soluzioni?
Gli interventi del Governo sopra citati hanno avuto l’obiettivo di tamponare gli aumenti in bolletta, ma questi non sono né risolutivi e né sostenibili a lungo termine. Accanto a queste misure di emergenza, bisogna affrontare il problema principale che li causa, ovvero l’aumento della componente energia e quindi della materia prima.
Le anticipazioni e dichiarazioni da parte di esponenti del Governo, a partire dal ministro Cingolani, sulle misure per far fronte al caro bolletta indicano la strada di un aumento delle estrazioni nazionali di gas, oltre al prelievo di risorse dal Sistema per lo scambio di quote emissione di gas a effetto serra dell’UE (European Union Emissions Trading Scheme – EU ETS), una delle principali misura dell’Unione Europea per la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra nei settori industriali a maggior impatto sui cambiamenti climatici.
Tra le soluzioni di cui ogni tanto si parla per ridurre la dipendenza del nostro paese dalle fonti fossili c’è anche quella di un ritorno all’energia nucleare. Soluzione che però, al netto dei temi della sicurezza e dei costi di realizzazione delle centrali, non vedrebbe l’entrata in funzione di nuovi impianti (di III generazione, quella attualmente disponibile) prima di almeno 10 anni, mentre i reattori di quarta generazione sono oggetto di programmi di ricerca da 20 anni e ad oggi non offrono tecnologie percorribili nel breve termine. Inoltre, oggi il kWh di energia elettrica prodotto dal nucleare costa molto di più dell’energia prodotta dal fotovoltaico o dall’eolico: secondo il World Nuclear Industry Status Report, nel 2020 produrre 1 kilowattora (kWh) di elettricità con il fotovoltaico è costato in media nel mondo 3,7 centesimi di dollaro, con l’eolico 4, con nuovi impianti nucleari 16,3. Il tema è stato affrontato su questo sito a questo link: unfakenews.legambiente.it/news/nucleare-iv-generazione-e-crisi-climatica
Le Direttive europee, prevedono che le risorse che derivanti dall’ETS siano destinate all’innovazione e alle politiche di decarbonizzazione. Di fatto, si andrebbe a togliere risorse per le rinnovabili, per alimentare ulteriormente il settore della produzione di energia da fonti fossili, settore già ampiamente sostenuto da 12,86 miliardi di euro l’anno di sussidi (al 2020 – fonte: elaborazione Legambiente su dati MiTE) e che ancora resistono, nonostante sia prevista la loro progressiva razionalizzazione a favore della transizione energetica.
A questo proposito, nel febbraio del 2020 si è insediata la Commissione per lo studio e l’elaborazione di proposte per la transizione ecologica e per la riduzione dei sussidi ambientalmente dannosi, con il compito di elaborare una proposta di ridefinizione per assicurare la riconversione ecologica dei settori maggiormente climalteranti e il raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra entro il 2030. A oggi, a parte qualche timidissimo passo in avanti, non c’è traccia di interventi risolutivi e concreti.
Anche la proposta di potenziare l’estrazione di gas dal territorio nazionale si scontra in primis con gli obiettivi climatici europei, ma soprattutto con la scarsità della risorsa. Le riserve certe di gas nel territorio italiano (fonte UNMIG), infatti, sono pari a 45,8 miliardi di Sm3 (Standard metri cubi) di cui il 55% si trova nel sottosuolo (prevalentemente nel sud Italia) e la restante parte nei fondali marini (lungo la costa adriatica e in parte nello Ionio e nel canale di Sicilia). Attualmente vengono estratti circa 4,5 miliardi di metri cubi di gas dai pozzi esistenti ed attivi nel nostro territorio. A questo ritmo estrattivo nell’arco di 10 anni si esaurirebbero le riserve certe attualmente conosciute e si renderebbe necessario approfondire la ricerca su quelle che attualmente sono definite “riserve probabili di gas” che ammontano a 45,9 miliardi di Sm3. In altri termini, se andassimo ad estrarre tutte insieme le riserve certe di gas dal nostro territorio, ci renderebbe indipendenti per poco più di 7 mesi (periodo che si estenderebbe a 15 mesi se includessimo anche tutte le riserve probabili).
Per contrastare il caro-bolletta la soluzione migliore è invece sbloccare lo sviluppo delle rinnovabili, favorire la creazione di comunità energetiche sul territorio, strutturare politiche di efficienza energetica.
Lo sviluppo delle rinnovabili è fermo al palo, a causa principalmente di lentezze burocratiche. Per fare un esempio, in tema di eolico, dei 20 GW di progetti per i quali è stata fatta istanza dal 2017 ad oggi, ne sono stati autorizzati solo 0,64. Il 91% di questi si trova nella fase iniziale del procedimento, mentre i provvedimenti di VIA positiva sono stati emessi per solamente 212 MW. Le attuali regole e procedure portano i tempi medi per ottenere l’autorizzazione alla realizzazione di un impianto eolico, ad esempio, a 5 anni contro i 6 mesi previsti dalla normativa. Il risultato è che i 400 MW sbloccati dal ministro Cingolani rappresentano appena un 5% di quanto occorrerebbe fare annualmente per conseguire gli obiettivi climatici europei al 2030. Se anche solo il 50% delle rinnovabili oggi sulla carta arrivasse al termine dell’iter autorizzativo, l’Italia avrebbe già raggiunto tali obiettivi e alleggerito la sua dipendenza dalle fonti fossili.
Le comunità energetiche sono una realtà normativa nuova per l’Italia, molto meno all’estero. Rilanciate dal Clean Energy Package europeo nel 2019, si tratta di modelli di generazione distribuita che, per le proprie caratteristiche possono conciliare il raggiungimento dei target ambientali con obiettivi sociali, culturali e di innovazione dei sistemi elettrici. Questi modelli prevedono che l’energia prodotta da rinnovabili possa essere condivisa da una serie di consumatori (tipicamente privati cittadini, PMI e Amministrazione Pubbliche), potendo tra le altre cose contribuire a ridurre i loro costi di approvvigionamento dell’energia.
Con adeguate politiche di efficienza energetica, da qui al 2030, si potrebbe portare tutti gli edifici, residenziali e non, a ridurre i consumi di almeno il 50%, in linea anche con le proposte europee. Efficientare le abitazioni ha come primo effetto quello di ridurre drasticamente l’utilizzo di energia che viene utilizzata per riscaldare e raffrescare, per produrre acqua calda sanitaria, ma anche per illuminazione e funzionamento degli elettrodomestici. La voce più rilevante dei consumi energetici, il 70% (dato ISTAT), riguarda i consumi termici ovvero riscaldamento e raffrescamento, e il combustibile più utilizzato dalle famiglie per soddisfare i fabbisogni energetici è il gas fossile per circa il 50,3% dei consumi totali. In questo senso è auspicabile un prolungamento della durata degli incentivi del Superbonus almeno al 2025.
Domande e risposte
Gas e nucleare servono ad abbassare il costo delle bollette?
NO.
Anzi, è vero il contrario. Ad aumentare è proprio il costo della materia prima, che in Italia è per almeno il 70% della parte elettrica di origine fossile. Nel 2021 siamo infatti passati dai 20,36 centesimi di euro a metro cubo di gas nel primo trimestre a 53,34 centesimi nell’ultimo trimestre. Mentre tutte le altre voci di commercializzazione e trasporto sono rimaste sostanzialmente invariate e sono diminuiti oneri di sistema e imposte. Per quanto riguarda il nucleare, invece, senza affrontare i temi legati alla sicurezza, alle scorie e ai costi di realizzazione, se dovessimo iniziare domani mattina a costruire la nostra prima centrale, nella migliore delle ipotesi, la sua messa in esercizio avverrebbe fra dieci anni. Nel frattempo le bollette continuerebbero ad aumentare.
Possiamo ridurre le bollette puntando sulle estrazioni di gas nazionale?
NO. In questa affermazione il primo parametro di cui non si tiene conto è che il gas estratto in Italia, come quello importato, non è nelle disponibilità dello Stato ma entra nel mercato con le sue dinamiche di regolazione dei prezzi delle materie prime. Inoltre l’attuale fabbisogno di gas nel nostro Paese è di oltre 72 miliardi di standard metro cubo, una cifra che anche se andassimo a estrarre insieme i 45,8 miliardi di Smc di riserve certe di gas nel sottosuolo italiano (prevalentemente nel Sud Italia) e nei fondali marini (lungo la costa adriatica, in parte nello Ionio e nel canale di Sicilia) ci renderebbe indipendenti per poco più di 7 mesi (agonia che si protrarrebbe fino a 15 mesi se includessimo anche tutte le riserve probabili che ammontano a 45,9 miliardi di Smc). Senza considerare gli impatti ambientali (come l’incremento della subsidenza nell’area costiera dell’alto Adriatico) o i costi connessi alle attività estrattive e di distribuzione.
Sviluppare grandi impianti da fonti pulite e comunità energetiche rinnovabili abbassa il costo delle bollette?
SÌ.
Un sistema energetico basato sulle fonti rinnovabili, grandi e piccole, distribuite nei territori abbassa notevolmente il costo delle bollette. Perché ci rende autonomi dalle importazioni del gas fossile, inquinante e climalterante, facendo uscire l’Italia dalle logiche politiche ed economiche dei grandi produttori, vedi la Russia, nei momenti di criticità climatiche e politiche. Ma anche portando pace nei territori oggi sfruttati proprio per le estrazioni delle fonti fossili. Grazie alle comunità energetiche rinnovabili è possibile investire sull’autoproduzione e sulla condivisione dell’energia ottenendo riduzioni dei costi in bolletta fino al 25%.