Nucleare e rifiuti radioattivi, dove e come gestirli?
A dieci anni dall’incidente di Fukushima, affrontiamo il tema nucleare e del deposito di rifiuti radioattivi che dovrà essere realizzato in Italia, per le nostre scorie, e di cui si è finalmente aperto il percorso per giungere a una scelta condivisa sul sito e mettere il Paese in sicurezza.
In Italia, secondo gli ultimi dati forniti dall’ISIN (Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione) sono presenti circa 31mila metri cubi di rifiuti radioattivi collocati in 24 impianti distribuiti su 16 siti in 8 Regioni. A questi siti si aggiunge un deposito, il CISAM di Pisa, di competenza del Ministero della Difesa, nato come un centro di ricerca militare.
I rifiuti radioattivi presenti oggi in Italia derivano dall’esercizio dei 4 impianti nucleari (Caorso, Garigliano, Latina, Trino – entrati in attività tra il 1963 e il 1978, dismessi tra il 1987 e il 1990) e dalle attività di ricerca nell’ambito del ciclo del combustibile nucleare. Ad essi vanno aggiunti i rifiuti di origine medica, industriale e di ricerca e che ammontano ad alcune centinaia di metri cubi l’anno. Oltre quelli che saranno generati dal decommissioning (le attività di smantellamento) delle centrali e degli impianti nucleari dismessi.
Attualmente, i rifiuti radioattivi sono stoccati, per alcuni decenni, in depositi temporanei dove si attende il decadimento della radioattività prima dello smaltimento definitivo. Questi siti non sono idonei per lo stoccaggio a lungo termine, ovvero per un periodo temporale dell’ordine delle centinaia o migliaia di anni.
È necessaria, oltre che obbligatoria, quindi la costruzione di un deposito definitivo di superficie per i rifiuti radioattivi a bassa e media attività, una struttura realizzata a livello del terreno o fino ad alcuni metri di profondità.
Il 5 gennaio 2021, dopo 6 anni di attesa, è stata pubblicata da parte di Sogin (Società Gestione Impianti Nucleari) la CNAPI, la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee a ospitare in Italia il Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi e il Parco Tecnologico. Il documento ha individuato 67 aree potenzialmente idonee secondo criteri individuati da ISPRA e IAEA. Queste aree ricadono in Piemonte, Toscana, Lazio, Basilicata, Puglia, Sicilia e Sardegna.
La pubblicazione della CNAPI è solo il primo passo di un lungo iter, ora è in atto la fase di consultazione (possibile attraverso il sito https://www.depositonazionale.it/ ). Per arrivare alla necessaria identificazione del sito idoneo serve avviare un percorso trasparente, partecipato e condiviso col territorio che coinvolga i cittadini, le associazioni, le amministrazioni locali e la comunità scientifica.
I rifiuti radioattivi
I rifiuti radioattivi derivano dall’uso di materiali radioattivi nella produzione di energia nucleare, in apparecchiature mediche per diagnosi e cure, apparecchiature industriali, attività di ricerca e sviluppo. Una volta che questi materiali radioattivi non possono essere impiegati o riciclati per altri utilizzi, si considerano rifiuti e devono essere smaltiti in modo da contenerne le radiazioni e ridurne la pericolosità per l’uomo e per l’ambiente. Vengono classificati in 5 classi (a vita molto breve, attività molto bassa, bassa attività, media attività, alta attività) e per ognuna di queste corrispondono diversi sistemi di gestione e smaltimento finale.
Il trattamento dei rifiuti radioattivi avviene inizialmente sottoponendoli a trattamenti per ridurne il volume e prepararli al condizionamento, quando vengono resi tramite cementificazione idonei al trasporto, allo stoccaggio temporaneo e successivamente al conferimento al Deposito Nazionale. La fase di stoccaggio nei depositi temporanei ha lo scopo di attendere che il suo contenuto radiologico decada a livelli più bassi, così da indirizzarlo alla soluzione di smaltimento più adeguata. La destinazione finale (depositi di superficie e geologici) dipende dalla classe, ovvero dal livello di radioattività dei rifiuti.
La CNAPI
Il 5 gennaio 2021, dopo 6 anni di attesa, è stata pubblicata da parte di Sogin (Società Gestione Impianti Nucleari) la CNAPI, la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee a ospitare in Italia il Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi e il Parco Tecnologico. Il Deposito nazionale, secondo il Programma nazionale per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi, dovrà essere realizzato entro il 2025.
Il documento ha individuato 67 aree le cui caratteristiche soddisfano i criteri previsti dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) e dall’International Atomic Energy Agency (IAEA). Le aree individuate dalla CNAPI sono concentrate in Piemonte, Toscana, Lazio, Basilicata, Puglia, Sicilia e Sardegna.
Dopo la pubblicazione della CNAPI si è aperta una fase di consultazione pubblica che durerà 180 giorni. Dalla CNAPI si arriverà alla CNAI (Carta Nazionale Aree Idonee) dopo un momento di confronto pubblico, il Seminario Nazionale, quindi si arriverà a una short list di siti sui quali avverranno trattative bilaterali fra i comuni interessati, con un confronto tra governo e Regioni, per la selezione finale.
Il Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi
Il Deposito Nazionale che dovrà essere ospitato in una delle aree individuate dalla CNAPI è il deposito definitivo di superficie per i rifiuti radioattivi a bassa e media attività, una struttura realizzata, a livello del terreno o fino ad alcuni metri di profondità, al fine di provvedere alla sistemazione definitiva dei rifiuti radioattivi a bassa e media attività. Questa struttura è tipicamente composta da barriere ingegneristiche poste in serie, e può sfruttare anche barriere naturali (la geologia del sito). Le barriere ingegneristiche sono di norma realizzate con strutture in calcestruzzo armato, atte ad ospitare i manufatti dei rifiuti radioattivi.
Contestualmente al deposito sarà costruito anche il Parco Tecnologico, un polo per la ricerca avanzata sulle energie rinnovabili e sulla transizione energetica.
Nel deposito nazionale saranno sistemati in sicurezza circa 95.000 m3 di rifiuti radioattivi (fonte: Sogin). Di questi circa il 40% sono ad attività molto bassa, il 40% a bassa attività, circa il 20% a media attività e circa lo 0,4 % ad alta attività.
Esempi di depositi di superficie simili a quello che verrà realizzato in Italia sono già operativi in Europa in Spagna, Francia, Repubblica Ceca e nel Regno Unito.
Perché serve costruire il deposito nazionale
In Italia, secondo gli ultimi dati forniti dall’ISIN (Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione) sono presenti circa 31mila metri cubi di rifiuti radioattivi collocati in 24 impianti distribuiti su 16 siti in 8 Regioni (dato al 31 dicembre 2019). A questi siti si aggiunge un deposito, il CISAM di Pisa, di competenza del Ministero della Difesa, nato come un centro di ricerca militare.
I rifiuti radioattivi presenti oggi in Italia derivano dall’esercizio dei 4 impianti nucleari (Caorso, Garigliano, Latina, Trino – entrati in attività tra il 1963 e il 1978, dismessi tra il 1987 e il 1990) e dalle attività di ricerca nell’ambito del ciclo del combustibile nucleare. Ad essi vanno aggiunti i rifiuti di origine medica, industriale e di ricerca e che ammontano ad alcune centinaia di metri cubi l’anno. Oltre quelli che saranno generati dal decommissioning (le attività di smantellamento) delle centrali e degli impianti nucleari dismessi.
Attualmente, i rifiuti radioattivi sono stoccati per alcuni decenni, in depositi temporanei dove si attende il decadimento della radioattività prima dello smaltimento definitivo. Nei depositi temporanei si trovano sia rifiuti tal quali privi di trattamento e condizionamento, oppure già in attesa di essere conferiti al deposito definitivo. Vi si trovano anche i rifiuti radioattivi derivanti da attività medico-ospedaliere, industriali e di ricerca. Questi siti non sono idonei per lo stoccaggio a lungo termine, ovvero per un periodo temporale dell’ordine delle centinaia o migliaia di anni.
Il Deposito geologico di profondità
Oltre al deposito di superficie per i rifiuti radioattivi a bassa e media attività, si deve individuare anche un sito per la sistemazione definitiva dei rifiuti radioattivi a media e alta attività. Questi devono essere stoccati in un deposito geologico, realizzato nel sottosuolo a notevole profondità (diverse centinaia di metri), in una formazione geologica stabile (argille, graniti, salgemma), per consentire l’isolamento dei radionuclidi dall’ambiente per periodi molto lunghi (fino a centinaia di migliaia di anni).
L’unico deposito di questo tipo in esercizio nel mondo si trova nel New Mexico (USA). In Europa, alcuni paesi hanno già individuato il sito o avviato il processo di localizzazione per il deposito geologico. In considerazione degli elevati costi di realizzazione di un deposito di questo tipo, alcuni Paesi europei con quantità limitate di rifiuti a media e alta attività stanno valutando l’opportunità di costruire uno o più depositi di profondità condivisi. Tra questi c’è anche l’Italia.
Un processo partecipato
La pubblicazione della CNAPI è solo il primo passo di un lungo iter. Ora è in atto la fase di consultazione, possibile attraverso il sito https://www.depositonazionale.it/ e i cui tempi sono stati allungati dal Decreto Milleproroghe.
Ma l’apertura della consultazione pubblica non è garanzia che il percorso fino all’individuazione del sito per il deposito arrivi a compimento senza intoppi. Per arrivare alla necessaria identificazione del sito idoneo serve avviare un percorso trasparente, partecipato e condiviso col territorio che coinvolga i cittadini, le associazioni, le amministrazioni locali e la comunità scientifica, a partire dalle informazioni contenute nella CNAPI.
I rifiuti radioattivi
I rifiuti radioattivi derivano dall’uso di materiali radioattivi nella produzione di energia nucleare, in apparecchiature mediche per diagnosi e cure, apparecchiature industriali, attività di ricerca e sviluppo. Una volta che questi materiali radioattivi non possono essere impiegati o riciclati per altri utilizzi, si considerano rifiuti e devono essere smaltiti in modo da contenerne le radiazioni e ridurne la pericolosità per l’uomo e per l’ambiente. Vengono classificati in 5 classi (a vita molto breve, attività molto bassa, bassa attività, media attività, alta attività) e per ognuna di queste corrispondono diversi sistemi di gestione e smaltimento finale.
Il trattamento dei rifiuti radioattivi avviene inizialmente sottoponendoli a trattamenti per ridurne il volume e prepararli al condizionamento, quando vengono resi tramite cementificazione idonei al trasporto, allo stoccaggio temporaneo e successivamente al conferimento al Deposito Nazionale. La fase di stoccaggio nei depositi temporanei ha lo scopo di attendere che il suo contenuto radiologico decada a livelli più bassi, così da indirizzarlo alla soluzione di smaltimento più adeguata. La destinazione finale (depositi di superficie e geologici) dipende dalla classe, ovvero dal livello di radioattività dei rifiuti.
CLASSIFICAZIONE RIFIUTI RADIOATTIVI
(adottata con decreto 7 agosto 2015)
Da La Nuova Ecologia
A vita media molto breve (VSLW)
Con tempo di dimezzamento inferiore a 100 giorni. Hanno origine da impieghi medici e di ricerca.
Attività molto bassa (VLLW)
Materiali derivanti dalle attività di mantenimento in sicurezza e smantellamento delle installazioni nucleari e da terreni contaminati.
Bassa attività (LLW)
La gran parte dei rifiuti provenienti dalle installazioni nucleari. Richiedono un confinamento e isolamento da qualche decina a centinaia di anni.
Media attività (ILW)
Provengono dal decommissioning delle strutture dei reattori, dagli impianti di fabbricazione degli elementi di combustibile, dagli impianti di riprocessamento.
Alta attività(HLW)
Rifiuti liquidi derivanti dal primo ciclo di estrazione degli impianti di riprocessamento del combustibile irraggiato e lo stesso combustibile se smaltito senza riprocessamento. Richiedono isolamento e confinamento per migliaia di anni.
LE FASI DI TRATTAMENTO DEI RIFIUTI RADIOATTIVI
Caratterizzazione: analisi e misurazioni per determinare le caratteristiche chimiche, fisiche e radiologiche del rifiuto.
Trattamento: il rifiuto radioattivo viene modificato nella forma o nella composizione chimica per ridurne il volume.
Condizionamento: avviene generalmente tramite cementazione per rendere il rifiuto idoneo al trasporto, allo stoccaggio temporaneo e al conferimento al deposito.
Stoccaggio: il rifiuto viene stoccato in appositi depositi temporanei in attesa che il suo contenuto radiologico decada a livelli più bassi.
Smaltimento: il rifiuto radioattivo condizionato viene conferito a un deposito definitivo. La destinazione finale (depositi di superficie e geologici) dipende dal livello di radioattività.
La CNAPI
Il 5 gennaio 2021, dopo 6 anni di attesa, è stata pubblicata da parte di Sogin (Società Gestione Impianti Nucleari) la CNAPI, la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee a ospitare in Italia il Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi e il Parco Tecnologico. Il Deposito nazionale, secondo il Programma nazionale per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi, dovrà essere realizzato entro il 2025.
Il documento ha individuato 67 aree le cui caratteristiche soddisfano i criteri previsti dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) e dall’International Atomic Energy Agency (IAEA). Le aree individuate dalla CNAPI sono concentrate in Piemonte, Toscana, Lazio, Basilicata, Puglia, Sicilia e Sardegna.
Dopo la pubblicazione della CNAPI si è aperta una fase di consultazione pubblica che durerà 180 giorni. Dalla CNAPI si arriverà alla CNAI (Carta Nazionale Aree Idonee) dopo un momento di confronto pubblico, il Seminario Nazionale, quindi si arriverà a una short list di siti sui quali avverranno trattative bilaterali fra i comuni interessati, con un confronto tra governo e Regioni, per la selezione finale.
Il Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi
Il Deposito Nazionale che dovrà essere ospitato in una delle aree individuate dalla CNAPI è il deposito definitivo di superficie per i rifiuti radioattivi a bassa e media attività, una struttura realizzata, a livello del terreno o fino ad alcuni metri di profondità, al fine di provvedere alla sistemazione definitiva dei rifiuti radioattivi a bassa e media attività. Questa struttura è tipicamente composta da barriere ingegneristiche poste in serie, e può sfruttare anche barriere naturali (la geologia del sito). Le barriere ingegneristiche sono di norma realizzate con strutture in calcestruzzo armato, atte ad ospitare i manufatti dei rifiuti radioattivi.
Contestualmente al deposito sarà costruito anche il Parco Tecnologico, un polo per la ricerca avanzata sulle energie rinnovabili e sulla transizione energetica.
Nel deposito nazionale saranno sistemati in sicurezza circa 95.000 m3 di rifiuti radioattivi (fonte: Sogin). Di questi circa il 40% sono ad attività molto bassa, il 40% a bassa attività, circa il 20% a media attività e circa lo 0,4 % ad alta attività.
Esempi di depositi di superficie simili a quello che verrà realizzato in Italia sono già operativi in Europa in Spagna, Francia, Repubblica Ceca e nel Regno Unito.
Perché serve costruire il deposito nazionale
In Italia, secondo gli ultimi dati forniti dall’ISIN (Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione) sono presenti circa 31mila metri cubi di rifiuti radioattivi collocati in 24 impianti distribuiti su 16 siti in 8 Regioni (dato al 31 dicembre 2019). A questi siti si aggiunge un deposito, il CISAM di Pisa, di competenza del Ministero della Difesa, nato come un centro di ricerca militare.
I rifiuti radioattivi presenti oggi in Italia derivano dall’esercizio dei 4 impianti nucleari (Caorso, Garigliano, Latina, Trino – entrati in attività tra il 1963 e il 1978, dismessi tra il 1987 e il 1990) e dalle attività di ricerca nell’ambito del ciclo del combustibile nucleare. Ad essi vanno aggiunti i rifiuti di origine medica, industriale e di ricerca e che ammontano ad alcune centinaia di metri cubi l’anno. Oltre quelli che saranno generati dal decommissioning (le attività di smantellamento) delle centrali e degli impianti nucleari dismessi.
Attualmente, i rifiuti radioattivi sono stoccati per alcuni decenni, in depositi temporanei dove si attende il decadimento della radioattività prima dello smaltimento definitivo. Nei depositi temporanei si trovano sia rifiuti tal quali privi di trattamento e condizionamento, oppure già in attesa di essere conferiti al deposito definitivo. Vi si trovano anche i rifiuti radioattivi derivanti da attività medico-ospedaliere, industriali e di ricerca. Questi siti non sono idonei per lo stoccaggio a lungo termine, ovvero per un periodo temporale dell’ordine delle centinaia o migliaia di anni.
Il Deposito geologico di profondità
Oltre al deposito di superficie per i rifiuti radioattivi a bassa e media attività, si deve individuare anche un sito per la sistemazione definitiva dei rifiuti radioattivi a media e alta attività. Questi devono essere stoccati in un deposito geologico, realizzato nel sottosuolo a notevole profondità (diverse centinaia di metri), in una formazione geologica stabile (argille, graniti, salgemma), per consentire l’isolamento dei radionuclidi dall’ambiente per periodi molto lunghi (fino a centinaia di migliaia di anni).
L’unico deposito di questo tipo in esercizio nel mondo si trova nel New Mexico (USA). In Europa, alcuni paesi hanno già individuato il sito o avviato il processo di localizzazione per il deposito geologico. In considerazione degli elevati costi di realizzazione di un deposito di questo tipo, alcuni Paesi europei con quantità limitate di rifiuti a media e alta attività stanno valutando l’opportunità di costruire uno o più depositi di profondità condivisi. Tra questi c’è anche l’Italia.
Un processo partecipato
La pubblicazione della CNAPI è solo il primo passo di un lungo iter. Ora è in atto la fase di consultazione, possibile attraverso il sito https://www.depositonazionale.it/ e i cui tempi sono stati allungati dal Decreto Milleproroghe.
Ma l’apertura della consultazione pubblica non è garanzia che il percorso fino all’individuazione del sito per il deposito arrivi a compimento senza intoppi. Per arrivare alla necessaria identificazione del sito idoneo serve avviare un percorso trasparente, partecipato e condiviso col territorio che coinvolga i cittadini, le associazioni, le amministrazioni locali e la comunità scientifica, a partire dalle informazioni contenute nella CNAPI.
Che cosa sono i rifiuti radioattivi, come si classificano?
Eredità dalle passate attività nucleari e oggi generati anche da attività di ricerca, mediche e industriali, sono quei materiali radioattivi (liquidi, gassosi o solidi) per i quali nessun utilizzo ulteriore è previsto e che devono essere smaltiti. La nuova classificazione prevede la suddivisione in 5 classi in funzione della radioattività e del tipo di deposito necessario al loro stoccaggio, temporaneo o definitivo: rifiuti radioattivi a vita media molto breve, ad attività molto bassa e di bassa, media e alta attività. Quelli ad alta attività sono destinati a un deposito geologico ancora da individuare in Europa, le altre categorie finiranno al Deposito nazionale.
Quanti rifiuti radioattivi ci sono in Italia e chi li produce?
Secondo gli ultimi dati (dicembre 2019) dell’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (Isin), in Italia ci sono poco meno di 31.000 m3 di materiale radioattivo, corrispondenti a 2,9 milioni di Giga-Becquerel (unità di misura che esprime la “carica” dei rifiuti radioattivi). Anche se in Italia centrali e altre installazioni connesse al ciclo del combustibile non sono più in esercizio, sono ancora necessarie le attività legate al loro smantellamento e alla gestione dei rifiuti radioattivi prodotti. Sono inoltre ancora attivi alcuni piccoli reattori di ricerca ed è sempre più diffuso l’impiego di sorgenti di radiazioni ionizzanti nelle applicazioni mediche, nell’industria e nella ricerca, con conseguente produzione di rifiuti.
Dove sono gestiti oggi i rifiuti nucleari?
24 impianti in 8 regioni (Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Lazio, Campania, Basilicata, Puglia e Sicilia), a cui si aggiungono 95 strutture che utilizzano “sorgenti di radiazioni”, cioè materie radioattive e macchine generatrici di radiazioni ionizzanti. Fra i 24 impianti ci sono le quattro ex centrali nucleari e i due centri di ritrattamento dei combustibili irraggiati (Saluggia, Rotondella). Molte di queste strutture temporanee hanno notevoli criticità impiantistiche e di localizzazione, che le rendono inidonee e pericolose nella gestione dei rifiuti radioattivi.
Che cos’è il deposito nazionale unico per il nucleare?
Si tratta del luogo dove si andranno a sistemare in via definitiva i rifiuti a bassa e media attività che arriveranno dai siti temporanei, dallo smantellamento delle vecchie centrali e dai futuri rifiuti generati dalle attività di ricerca e mediche. La struttura, prevalentemente in cemento armato, prevede barriere ingegneristiche, poste in serie con effetto matrioska, e sfrutterà le barriere naturali dovute alla geologia del sito individuato. Depositi di questo tipo sono già esistenti in Spagna (El Cabril), Francia (L’Aube) e Regno Unito (Drigg).