d

The Point Newsletter

    Sed ut perspiciatis unde omnis iste natus error.

    Follow Point

    Begin typing your search above and press return to search. Press Esc to cancel.

    Lupi e orsi, dobbiamo davvero avere paura?

     

    Lupi e orsi, dobbiamo davvero avere paura?

    Quanto tempo hai?
    1'
    5'
    10'

    Le storie di lupi o di orsi che aggrediscono senza motivo le persone sono leggende. Questi predatori dividono l’opinione pubblica, influenzata dall’eco mediatica di alcuni casi di cattiva coesistenza con l’uomo.

    Le storie di lupi o di orsi che aggrediscono senza motivo le persone sono leggende. Questi predatori dividono l’opinione pubblica, influenzata dall’eco mediatica di alcuni casi di cattiva coesistenza con l’uomo. La presenza di lupi e orsi non è incompatibile con le attività antropiche ed è possibile trovare un giusto equilibrio tra l’uomo e questi animali.

    Ogni anno nel nostro Paese sono ritrovati tra i 100 e i 300 lupi morti (su una popolazione stimata di circa 3300 individui totali, secondo i risultati del primo monitoraggio nazionale su questa specie), per cause diverse: bracconaggio, avvelenamento, incidenti stradali o, anche, gesti clamorosi e violenti che devono essere contrastati con modelli di coesistenza che sono non solo possibili, ma necessari.

    Di cosa parliamo

    I grandi carnivori, come orso e lupo, sono animali caratteristici del territorio italiano, rappresentano un elemento fondamentale degli ecosistemi naturali e la loro conservazione comporta un beneficio per la biodiversità e gli habitat ad essi correlati.

    Spesso però la loro presenza sul territorio viene percepita come una minaccia per l’uomo e per l’incolumità stessa delle persone. Molti sono i miti e le false credenze che si perpetuano di generazione in generazione attribuendo a questi animali una connotazione negativa, spesso amplificata dalla stampa che dà molto risalto ad avvistamenti e incidenti. Le strategie di prevenzione, mitigazione e ristoro del danni causato agli allevatori spesso sono inefficienti. In alcune zone rurali del Paese, da anni si susseguono avvelenamenti, impiccagioni, bracconaggio e abbattimenti illegali.

    I rischi collegati alla loro presenza sul territorio non sono in realtà direttamente collegati all’uomo, ma al loro interesse per bestiame, pollame, apiari, coltivi ed alberi da frutta.

    I danni e i problemi principali si riscontrano principalmente in quelle zone dove si è persa la memoria della convivenza tra grandi carnivori e uomo, in particolare tra le giovani generazioni. Laddove permane una lunga tradizione di coesistenza i danni sono minori, in quanto gli allevatori mettono in pratica delle azioni di tutela e custodia del bestiame (come ad esempio custodia del gregge, uso di cani da guardiania, uso di recinzioni) che riducono notevolmente gli attacchi.

    Altri fattori di rischio derivano dalla competizione con i cacciatori per la fauna selvatica, o ancora dall’eccessiva confidenza della popolazione e dei turisti, in particolare in alcune zone dell’Appennino.

    Ogni evento critico dipende da molti fattori: le specie interessate, il comportamento degli animali, quello dei cittadini, le risorse disponibili e il contesto sociologico dell’area. Per affrontare in modo adeguato le controverse questioni sollevate dalla coesistenza fra umani e grandi carnivori, è necessario adottare un approccio dal basso, che analizzi capillarmente caso per caso e trovi la soluzione più adatta per le diverse situazioni.

    Le storie di lupi o di orsi che aggrediscono senza motivo le persone sono leggende. Questi predatori dividono l’opinione pubblica, influenzata dall’eco mediatica di alcuni casi di cattiva coesistenza con l’uomo. La presenza di lupi e orsi non è incompatibile con le attività antropiche ed è possibile trovare un giusto equilibrio tra l’uomo e questi animali.

    Ogni anno nel nostro Paese sono ritrovati tra i 100 e i 300 lupi morti (su una popolazione stimata di circa 3300 individui totali, secondo i risultati del primo monitoraggio nazionale su questa specie), per cause diverse: bracconaggio, avvelenamento, incidenti stradali o, anche, gesti clamorosi e violenti che devono essere contrastati con modelli di coesistenza che sono non solo possibili, ma necessari.

    Di cosa parliamo

    I grandi carnivori, come orso e lupo, sono animali caratteristici del territorio italiano, rappresentano un elemento fondamentale degli ecosistemi naturali e la loro conservazione comporta un beneficio per la biodiversità e gli habitat ad essi correlati.  Ma hanno bisogno di vasti spazi di habitat idonei con abbondanza di prede naturali ed hanno inoltre esigenze ecologiche che comprendono anche le esigenze di molte altre specie.

    Spesso però la loro presenza sul territorio viene percepita come una minaccia per l’uomo e per l’incolumità stessa delle persone. Molti sono i miti e le false credenze che si perpetuano di generazione in generazione attribuendo a questi animali una connotazione negativa, spesso amplificata dalla stampa che dà molto risalto ad avvistamenti e incidenti. Le strategie di prevenzione, mitigazione e ristoro del danni causato agli allevatori spesso sono inefficienti e questo amplifica l’immagine negativa che orso e lupo si portano dietro.  In alcune zone rurali del Paese, da anni si susseguono avvelenamenti, impiccagioni, bracconaggio e abbattimenti illegali.

    Eppure, la convivenza tra uomo e grandi carnivori è possibile.

    I grandi carnivori

    Le specie a cui facciamo riferimento sono il lupo, l’orso bruno e l’orso bruno marsicano.

    Il lupo ( Canis lupus italicus) è un animale indigeno della penisola italiana e diffuso anche in buona parte della Francia, Svizzera e Spagna nord orientale. Da quando sono state adottate in Italia norme più stringenti per salvare il lupo da un’estinzione praticamente certa, la specie ha colonizzato ogni tipo di habitat. In alcune zone rurali del Paese, da anni si susseguono avvelenamenti, impiccagioni, bracconaggio e abbattimenti illegali. Oggi nel nostro paese si contano oltre 2.000 individui.

    Sull’arco alpino, alla fine del secolo scorso, l’orso bruno (Ursus arctos arctos ) era stato considerato quasi estinto localmente, ne rimanevano solo tre esemplari di sesso maschile. Nel 1999 il Parco Adamello Brenta ha avviato il progetto di reintroduzione Life Ursus”per ricostituire un nucleo vitale di orsi nelle Alpi centrali tramite il rilascio di nove individui provenienti dalla Slovenia. Oggi nell’area sono presenti più di cento individui, con una buona dinamica di popolazione. Il principale elemento che però determina la sopravvivenza dei grandi carnivori in un territorio è la coesistenza armonica con gli abitanti, resa difficile per l’orso da un dibattito acceso fra posizioni opposte e spesso estremizzate.

    L’orso bruno marsicano (Ursus arctos marsicanus), presente nell’Italia centrale, è il risultato di diversi secoli di isolamento dalle altre popolazioni europee. Uno degli aspetti che lo caratterizzano è la minore aggressività nei confronti degli esseri umani, fattore che determina una percezione di pericolo più lieve rispetto agli orsi delle zone settentrionali. Attualmente la popolazione conta circa cinquanta individui, quasi tutti concentrati all’interno del Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, con uno stato di conservazione allarmante a causa dell’esigua numerosità.

    I rischi

    Quando si ha a che fare con animali selvatici, i rischi non possono essere azzerati. Una percentuale di pericolosità per l’uomo, seppur limitata, esiste, ma può e deve essere gestita.

    I rischi collegati alla loro presenza sul territorio non sono in realtà direttamente collegati all’uomo, che non rappresenta una preda né per il lupo né per l’orso bruno, ma al loro interesse per bestiame domestico, allevamenti, pollame, apiari, coltivi ed alberi da frutta. Altri fattori di rischio derivano dalla competizione con i cacciatori per la fauna selvatica, o ancora dall’eccessiva confidenza della popolazione e dei turisti, in particolare in alcune zone dell’Appennino.

    I danni e i problemi principali si riscontrano principalmente in quelle zone dove si è persa la memoria della convivenza tra grandi carnivori e uomo, in particolare tra le giovani generazioni. Laddove permane una lunga tradizione di coesistenza, come ad esempio in Abruzzo, i danni sono minori in quanto gli allevatori mettono in pratica delle azioni di tutela e custodia del bestiame (come ad esempio custodia del gregge, uso di cani da guardiania, uso di recinzioni) che riducono notevolmente gli attacchi.

    Agli allevatori colpiti, a seconda delle normative regionali, vengono corrisposti degli indennizzi per la perdita del bestiame o, come nel Parco della Majella, la possibilità della restituzione del bestiame, azione che sta avendo buoni risultati e che viene progressivamente applicata anche in altri territori. Ma le strategie di prevenzione, mitigazione e ristoro del danno spesso sono inefficienti, e da tempo, e questo amplifica l’immagine negativa che orso e lupo si portano dietro.

    La convivenza possibile

    La gestione dei grandi carnivori rappresenta la principale sfida per chi si occupa di conservazione della biodiversità poiché la presenza di queste specie in contesti antropizzati, come il nostro Paese o l’Europa, alimenta conflitti e suscita forti passioni di segno opposto.

    Ogni evento critico che riguarda la loro interazione con l’uomo dipende da molti fattori: le specie interessate, il comportamento degli animali, quello dei cittadini, le risorse disponibili e il contesto sociologico dell’area. Per affrontare in modo adeguato le controverse questioni sollevate dalla coesistenza fra umani e grandi carnivori, è necessario adottare un approccio dal basso, che analizzi capillarmente caso per caso e trovi la soluzione più adatta per le diverse situazioni.

    Gli enti preposti alla tutela del lupo e quelli impegnati nello sviluppo rurale hanno l’importante compito di garantire le condizioni per il mantenimento dei normali equilibri naturali che assicurano una corretta gestione delle prede selvatiche e, in secondo luogo, di favorire la messa a regime di metodi di prevenzione del danno che non siano basati su criteri generalisti ma che siano opportunamente calibrati sulle caratteristiche dei singoli territori e, di più, addirittura “azienda specifici”, ovvero pensati e condivisi con gli allevatori.

    Le storie di lupi o di orsi che aggrediscono senza motivo le persone sono leggende. Questi predatori dividono l’opinione pubblica, influenzata dall’eco mediatica di alcuni casi di cattiva coesistenza con l’uomo. La presenza di lupi e orsi non è incompatibile con le attività antropiche ed è possibile trovare un giusto equilibrio tra l’uomo e questi animali.

    Ogni anno nel nostro Paese sono ritrovati tra i 100 e i 300 lupi morti (su una popolazione stimata di circa 3300 individui totali, secondo i risultati del primo monitoraggio nazionale su questa specie), per cause diverse: bracconaggio, avvelenamento, incidenti stradali o, anche, gesti clamorosi e violenti che devono essere contrastati con modelli di coesistenza che sono non solo possibili, ma necessari.

    Di cosa parliamo

    I grandi carnivori, come orso e lupo, sono animali caratteristici del territorio italiano, rappresentano un elemento fondamentale degli ecosistemi naturali e la loro conservazione comporta un beneficio per la biodiversità e gli habitat ad essi correlati.  Ma hanno bisogno di vasti spazi di habitat idonei con abbondanza di prede naturali ed hanno inoltre esigenze ecologiche che comprendono anche le esigenze di molte altre specie.

    Spesso però la loro presenza sul territorio viene percepita come una minaccia per l’uomo e per l’incolumità stessa delle persone. Molti sono i miti e le false credenze che si perpetuano di generazione in generazione attribuendo a questi animali una connotazione negativa, spesso amplificata dalla stampa che dà molto risalto ad avvistamenti e incidenti. Le strategie di prevenzione, mitigazione e ristoro del danni causato agli allevatori spesso sono inefficienti e questo amplifica l’immagine negativa che orso e lupo si portano dietro.  In alcune zone rurali del Paese, da anni si susseguono avvelenamenti, impiccagioni, bracconaggio e abbattimenti illegali.

    Eppure, la convivenza tra uomo e grandi carnivori è possibile.

    I grandi carnivori

    Le specie a cui facciamo riferimento sono il lupo, l’orso bruno e l’orso bruno marsicano.

    Il lupo ( Canis lupus italicus) è un animale indigeno della penisola italiana e diffuso anche in buona parte della Francia, Svizzera e Spagna nord orientale. Da quando sono state adottate in Italia norme più stringenti per salvare il lupo da un’estinzione praticamente certa, la specie ha colonizzato ogni tipo di habitat. In alcune zone rurali del Paese, da anni si susseguono avvelenamenti, impiccagioni, bracconaggio e abbattimenti illegali. Oggi nel nostro paese si contano oltre 2.000 individui.

    Sull’arco alpino, alla fine del secolo scorso, l’orso bruno (Ursus arctos arctos ) era stato considerato quasi estinto localmente, ne rimanevano solo tre esemplari di sesso maschile. Nel 1999 il Parco Adamello Brenta ha avviato il progetto di reintroduzione Life Ursus”per ricostituire un nucleo vitale di orsi nelle Alpi centrali tramite il rilascio di nove individui provenienti dalla Slovenia. Oggi nell’area sono presenti più di cento individui, con una buona dinamica di popolazione. Il principale elemento che però determina la sopravvivenza dei grandi carnivori in un territorio è la coesistenza armonica con gli abitanti, resa difficile per l’orso da un dibattito acceso fra posizioni opposte e spesso estremizzate.

    L’orso bruno marsicano (Ursus arctos marsicanus), presente nell’Italia centrale, è il risultato di diversi secoli di isolamento dalle altre popolazioni europee. Uno degli aspetti che lo caratterizzano è la minore aggressività nei confronti degli esseri umani, fattore che determina una percezione di pericolo più lieve rispetto agli orsi delle zone settentrionali. Attualmente la popolazione conta circa cinquanta individui, quasi tutti concentrati all’interno del Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, con uno stato di conservazione allarmante a causa dell’esigua numerosità.

    I rischi

    Quando si ha a che fare con animali selvatici, i rischi non possono essere azzerati. Una percentuale di pericolosità per l’uomo, seppur limitata, esiste, ma può e deve essere gestita.

    I rischi collegati alla loro presenza sul territorio non sono in realtà direttamente collegati all’uomo, che non rappresenta una preda né per il lupo né per l’orso bruno, ma al loro interesse per bestiame domestico, allevamenti, pollame, apiari, coltivi ed alberi da frutta. Altri fattori di rischio derivano dalla competizione con i cacciatori per la fauna selvatica, o ancora dall’eccessiva confidenza della popolazione e dei turisti, in particolare in alcune zone dell’Appennino.

    I danni e i problemi principali si riscontrano principalmente in quelle zone dove si è persa la memoria della convivenza tra grandi carnivori e uomo, in particolare tra le giovani generazioni. Laddove permane una lunga tradizione di coesistenza, come ad esempio in Abruzzo, i danni sono minori in quanto gli allevatori mettono in pratica delle azioni di tutela e custodia del bestiame (come ad esempio custodia del gregge, uso di cani da guardiania, uso di recinzioni) che riducono notevolmente gli attacchi.

    Agli allevatori colpiti, a seconda delle normative regionali, vengono corrisposti degli indennizzi per la perdita del bestiame o, come nel Parco della Majella, la possibilità della restituzione del bestiame, azione che sta avendo buoni risultati e che viene progressivamente applicata anche in altri territori. Ma le strategie di prevenzione, mitigazione e ristoro del danno spesso sono inefficienti, e da tempo, e questo amplifica l’immagine negativa che orso e lupo si portano dietro.

    La convivenza possibile

    La gestione dei grandi carnivori rappresenta la principale sfida per chi si occupa di conservazione della biodiversità poiché la presenza di queste specie in contesti antropizzati, come il nostro Paese o l’Europa, alimenta conflitti e suscita forti passioni di segno opposto.

    Ogni evento critico che riguarda la loro interazione con l’uomo dipende da molti fattori: le specie interessate, il comportamento degli animali, quello dei cittadini, le risorse disponibili e il contesto sociologico dell’area. Per affrontare in modo adeguato le controverse questioni sollevate dalla coesistenza fra umani e grandi carnivori, è necessario adottare un approccio dal basso, che analizzi capillarmente caso per caso e trovi la soluzione più adatta per le diverse situazioni.

    Gli enti preposti alla tutela del lupo e quelli impegnati nello sviluppo rurale hanno l’importante compito di garantire le condizioni per il mantenimento dei normali equilibri naturali che assicurano una corretta gestione delle prede selvatiche e, in secondo luogo, di favorire la messa a regime di metodi di prevenzione del danno che non siano basati su criteri generalisti ma che siano opportunamente calibrati sulle caratteristiche dei singoli territori e, di più, addirittura “azienda specifici”, ovvero pensati e condivisi con gli allevatori.

     

    LE STORIE

    La storia del lupo Arvo

    Il miglior servizio di buona comunicazione che si può fare è invece parlare delle storie di successo per la conservazione e lo studio e gli aspetti gestionali della specie. Come quella che ha riguardato il lupo ritrovato in Sila ad inizio 2020 e ribattezzato Arvo (dall’omonimo Lago Arvo), rilasciato in natura attraverso la collaborazione tra istituzioni, associazioni ed esperti attraverso il modello messo in atto dal progetto Wolfnet che a livello nazionale ha strutturato una rete di collaborazione organizzata da Legambiente e il Parco nazionale della Majella, alla quale partecipano le aree protette e le istituzioni locali e nazionali. I tecnici dei Parchi nazionali della Sila e gli esperti di Legambiente, con il supporto dei tecnici del Parco nazionale della Majella, dopo il ritrovamento del lupo ferito e il rilascio in natura, dopo le opportune cure, attraverso un sistema di tracciamento satellitare hanno avuto la possibilità di seguire i suoi spostamenti lungo l’appennino meridionale. Il viaggio di Arvo è durato circa 60 giorni, durante i quali ha percorso un suo itinerario tra le aree protette del mezzogiorno (dalla Sila al Cilento) che è stato tracciato sulla base delle informazioni restituite radiocollare montato al momento del suo rilascio. Tecnicamente Arvo era un disperal, un esemplare giovane di lupo che si allontana dal suo branco di origine, e che si muove anche su lunghe distanze, alla ricerca della sua area esclusiva ricca di prede, e magari, dove trovare un partner di sesso opposto per creare un nuovo branco.

    Arvo ha fornito una mole di informazioni preziosissime, in particolare proprio sulla grande capacità di dispersione tipica di questa specie. Difatti sin dai primi giorni del rilascio, prima si è ricongiunto ad un branco, forse il suo di origine, e in seguito ha intrapreso uno straordinario viaggio di centinaia di chilometri lungo la Calabria, la Basilicata e la Campania. Ha ripercorso itinerari conosciuti confermando la idoneità ambientale dei Parchi nazionali meridionali (Sila, Pollino, Appennino Lucano e Cilento), dimostrando che queste aree protette rappresentano la rete ecologica per la sopravvivenza della specie. Ha segnalato gli ostacoli e le barriere fisiche che ha dovuto superare, anche rischiose, ed ha dovuto cimentarsi con la frammentazione del suo habitat fornendo informazioni utili per intervenire sulle infrastrutture stradali per mettere in sicurezza la specie nell’Appennino meridionale attraverso la metodologia della road ecology.

    Attraverso l’itinerario seguito da Arvo, si è potuto registrare come si comporta un lupo nella fase di dispersione che è anche la fase in cui si registrano, purtroppo, alti livelli di mortalità tra i giovani lupi privi della sicurezza del branco ed esposti a svariati pericoli. Un monitoraggio ricco di informazioni ma durato solo due mesi proprio perché purtroppo la sua vicenda non ha avuto in lieto fine: Arvo è stato infatti ritrovato morto nel Parco nazionale del Pollino. Ma le informazioni che ha fornito saranno utili alla conservazione della sua specie; il lavoro corale messo in campo ha dimostrato come l’impegno per salvare un lupo o qualsiasi altro esemplare di fauna selvatica costa fatica e risorse, ma è un dovere farlo perché ogni anno nel nostro Paese vengono rinvenuti uccisi tra i 200 e i 300 esemplari di questa specie (il 10-20% della popolazione totale) per diverse cause (bracconaggio, avvelenamento, incidenti, etc…) tra cui anche gesti clamorosi e violenti che devono essere contrastati con modelli di coesistenza che non solo sono possibili, ma che sono anche necessari.

     

    La storia di mamma orsa Amarena

    Fanno da contraltare a queste notizie alcune storie che, invece, danno speranza sul futuro della conservazione di questa entità faunistica, come quella che ha riguardato l’avvistamento avvenuto nella scorsa primavera a Villalago (AQ), di una femmina di orso marsicano con 4 cuccioli al seguito. Da quanto risulta, si è trattato del primo avvistamento di questo tipo non essendoci nessuna evidenza scientifica che un altro episodio analogo si sia mai verificato in passato (mai si era andati oltre i 3 cuccioli osservati). Mamma orsa, ribattezzata “Amarena”, si è resa anche protagonista nel mese di agosto del 2019 di un attacco ad una pecora sempre nei pascoli nei dintorni di Villalago. In effetti gli orsi possono essere attratti dalla possibilità di attingere a risorse di facile accesso e molto nutrienti come avviene nei centri urbani dove non esistono, o sono carenti, misure per impedire l’abbandono di rifiuti, la non custodia dei cassonetti dell’immondizia e l’abbandono al facile accesso di mangimi, arnie, bestiame e frutta. Ma, del resto, anche le dinamiche sociali possono influire sulla predisposizione dei singoli individui ad avvicinarsi ad aree urbanizzate: in Appennino una femmina, per trovare risorse sufficienti per vivere ha bisogno di muoversi in un’area ampia fino a 140 km2 ed i maschi fino a 300 con la conseguenza che un paese, tra l’altro fonte facile di accesso a risorse, può ricadere facilmente in questo territorio.  Ed essendo l’Appennino inoltre ampiamente modificato dall’uomo è facile trovare aree che siano fonti di cibo legate ad esso (es. frutteti abbandonati) oppure fonti naturali di cibo vicino ai paesi (es. ghiande). Quindi un orso non necessariamente frequenta zone antropizzate in dipendenza di cibi associati all’uomo. Di qui l’importanza comunque di evitare che questo comportamento diventi un’abitudine tale da far perdere del tutto la diffidenza degli animali nei confronti dell’uomo ed entrare continuamente nei centri abitati ad alimentarsi. Lo stato critico in cui si trova questa popolazione impone che la sua conservazione debba passare anche attraverso l’individuazione di soluzioni politiche, tempestive e coraggiose praticabili in presenza di un efficace coordinamento territoriale, che si affianchi a campagne di comunicazione, sensibilizzazione e corretta informazione che incrementi il livello conoscenza e dunque di sensibilità e tolleranza per questa specie.

    Lupi e orsi aggrediscono immotivatamente le persone?

    Le aggressioni senza motivo sono leggende. Secoli di difficile coesistenza con l’uomo hanno plasmato il comportamento del lupo, che evita l’uomo se può. Se si eccettuano infatti episodi più o meno recenti di animali problematici (ad esempio perché sin da cuccioli sottratti alla vita naturale oppure caratterizzati da comportamenti confidenti indotti e anomali), non esistono casi documentati, dal dopoguerra ad oggi, di attacchi di lupi non confidenti come atto di predazione nei confronti dell’uomo. Anche per l’orso bruno l’uomo non rappresenta una preda né l’obiettivo di immotivata aggressività. In Appennino centrale in particolare, dove esiste una sottospecie distinta da quella alpina, non sono mai stati registrati atteggiamenti di aggressione mentre, gli episodi recenti registrati sulle Api sono in generale da scrivere al mancato accompagnamento della presenza di questo plantigrado con politiche di convivenza e di corretta informazione.

    •  
    •  
    •  
    •  
    •  
    •  
    •  
    •  

    Il lupo, in Italia, è stato reintrodotto in territori in cui non era più segnalato da molti anni?

    Nessun lupo è stato mai catturato per essere poi liberato in altro luogo a scopo di ripopolamento. La sua espansione è frutto solo di dinamiche naturali, dell’incremento numerico, della diffusione delle sue prede selvatiche e delle politiche di conservazione intraprese a sua tutela. Anche se ha subito nella prima parte del ’900 una forte riduzione, non è mai scomparso.

    •  
    •  
    •  
    •  
    •  
    •  
    •  
    •  

    È vero che, dopo i recenti avvenimenti in Trentino con l’orso bruno e le predazioni sugli Appennini attribuite al lupo, è stata aperta la caccia per le due specie?

    Non è vero. Il lupo e l’orso bruno sono specie non cacciabili e particolarmente protette dalla normativa italiana, tutelate da direttive comunitarie e convenzioni internazionali. Per l’orso bruno, in Trentino, sono state emanate ordinanze di rimozione per casi puntuali (tramite riduzione in cattività o abbattimento), peraltro molto contestate.
    •  
    •  
    •  
    •  
    •  
    •  
    •  
    •  

    Il numero di lupi e di orsi crescerà in modo esponenziale su scala locale?

    La natura, nella sua perfezione, non permette ciò. I grandi predatori, infatti, occupano il vertice della catena alimentare. Per questo, se diventassero troppo numerosi finirebbero per ridurre in maniera eccessiva le prede a loro disposizione, minacciando così la propria stessa sopravvivenza.

    •  
    •  
    •  
    •  
    •  
    •  
    •  
    •  

    La presenza di lupi e orsi è incompatibile con le attività umane?

    Falso. Il lupo preferisce le prede selvatiche. Può tuttavia causare danni agli allevamenti, ma ciò si verifica soltanto dove è stata perduta la pratica della custodia dei capi al pascolo. Le predazioni agli allevamenti non possono comunque essere sottovalutate: ci sono molti casi di allevatori, che con un’opportuna custodia e con la ripresa delle pratiche tradizionali di montagna, non hanno subito danni al bestiame.

    •  
    •  
    •  
    •  
    •  
    •  
    •  
    •  
    •  
    •  
    •  
    •  
    •  
    •  
    •  
    •