I parchi impediscono lo sviluppo economico?

Sono passati 30 anni dalla Legge 394/91, la legge quadro sulle aree protette, che ha portato l’Italia è leader in Europa nell’impegno per la tutela della biodiversità, la presenza e diffusione di specie e habitat di interesse comunitario sul territorio e per la qualità delle aree e dei paesaggi protetti.
Nonostante questo, ancora ci sono critiche sul fatto che la presenza di aree naturali tutelate e vincolate possa presentare un ostacolo allo sviluppo economico del territorio. La realtà è che nei parchi nazionali e regionali sono presenti oltre 850mila imprese, che generano lavoro in armonia con le finalità di tutela della natura.
Il sistema delle aree protette in Italia
Sono 871 i Parchi e le Riserve inserite nell’Elenco ufficiale delle aree naturali protette del MITE. Si tratta di territori diffusi in tutta Italia sottoposti a uno speciale regime di tutela per il loro valore ecologico, biologico, paesistico e culturale. E coprono, in totale, 3.163.590 ettari tutelati a terra, e 2.850.033 ettari a mare con 658 chilometri di linea di costa protetti.
Più dell’11% del territorio nazionale è sottoposto a tutela: si tratta di uno dei sistemi nazionali di tutela della natura più consistente dell’Unione Europea, dove la media dei territori protetti è del 5%, e di maggiore successo per le specie e gli habitat tutelati
Il parco più antico in Italia è il Parco Nazionale del Gran Paradiso, istituito con il Regio Decreto 1584 del 3 dicembre 1922. Pochi giorni dopo, l’11 gennaio 1923, venne istituito anche il Parco Nazionale d’Abruzzo; nel 1934, nasce il Parco Nazionale del Circeo e, l’anno successivo, il Parco Nazionale dello Stelvio. A questi si aggiunse, nel 1968, il Parco nazionale della Calabria a completare i 5 Parchi nazionali storici istituiti prima del 1991.
Oggi i parchi nazionali sono 24; le Aree marine protette 27, a cui si aggiungono i parchi sommersi di Baia e Gaiola e il Santuario internazionale dei mammiferi marini, con altri 2.5 milioni di ettari protetti, (dati del VI aggiornamento dell´Elenco Ufficiale delle Aree protette)
A questi si aggiungono poi i parchi regionali e le riserve regionali e nazionali che completano le tipologie di aree protette.
L’istituzione e la gestione delle aree naturali protette
L’istituzione e la gestione delle aree naturali protette è regolata dalla Legge quadro n. 394 del 6 dicembre 1991, che ne detta anche la classificazione.
Le aree protette sono classificate in questo modo:
- Parchi nazionali: costituiti da aree terrestri, fluviali, lacuali o marine che contengono uno o più ecosistemi intatti o anche parzialmente alterati da interventi antropici, una o più formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche, biologiche, di rilievo internazionale o nazionale per valori naturalistici, scientifici, estetici, culturali, educativi e ricreativi tali da richiedere l’intervento dello Stato ai fini della loro conservazione per le generazioni presenti e future.
- Parchi naturali regionali e interregionali: costituiti da aree terrestri, fluviali, lacuali ed eventualmente da tratti di mare prospicienti la costa, di valore naturalistico e ambientale, che costituiscono, nell’ambito di una o più regioni limitrofe, un sistema omogeneo, individuato dagli assetti naturalistici dei luoghi, dai valori paesaggistici e artistici e dalle tradizioni culturali delle popolazioni locali.
- Riserve naturali: costituite da aree terrestri, fluviali, lacuali o marine che contengono una o più specie naturalisticamente rilevanti della flora e della fauna, ovvero presentino uno o più ecosistemi importanti per la diversità biologica o per la conservazione delle risorse genetiche. Le riserve naturali possono essere statali o regionali in base alla rilevanza degli elementi naturalistici in esse rappresentati.
La gestione delle aree protette e la zonizzazione
La gestione di un’are protetta è esercitata, in genere, ad un Ente parco ma anche affidata a un ente locale o un consorzio di comuni. Il Piano per il parco è lo strumento per perseguire la tutela dei valori naturali e culturale presenti nell’area protetta, che viene attuata sulla base delle diverse funzioni e diverso grado di protezione in cui è suddiviso il territorio del parco (zonizzazione).
La zonizzazione del parco prevede quindi:
- riserve integrali (Zona A) nelle quali l’ambiente naturale è conservato nella sua integrità. Qui non sono ammesse attività umane se non quelle di ricerca scientifica;
- riserve generali orientate (zona B) nelle quali è vietato costruire nuove opere edilizie, ampliare le costruzioni esistenti, eseguire opere di trasformazione del territorio. Possono essere tuttavia consentite le utilizzazioni produttive tradizionali, la realizzazione delle infrastrutture strettamente necessarie, nonché interventi di gestione delle risorse naturali a cura dell’Ente Parco. Sono altresì ammesse opere di manutenzione alle opere esistenti e le attività turistiche sotto controllo del Parco;
- aree di protezione (zona C) nelle quali, in armonia con le finalità istitutive e in conformità ai criteri generali fissati dall’Ente Parco, possono continuare, secondo gli usi tradizionali ovvero secondo metodi di agricoltura biologica, le attività agro-silvo-pastorali nonché di pesca e raccolta dei prodotti naturali, ed è incoraggiata anche la produzione artigianale di qualità;
- aree di promozione economica e sociale (zona D) facenti parte del medesimo ecosistema, più estesamente modificate dai processi di antropizzazione, nelle quali sono consentite attività compatibili con le finalità istitutive del Parco e finalizzate al miglioramento della vita socio-culturale delle collettività locali e al miglior godimento del parco da parte dei visitatori.
Le attività produttive nei parchi
Nelle aree naturali protette quindi, a seconda della tipologia di area (parco o riserva) e della zonizzazione, sono previste alcune tipologie di attività umane e produttive, che devono essere in accordo e armonia con il piano del parco e le finalità di tutela degli ecosistemi naturali, e regolamentate in accordo con l’Ente Parco (il Regolamento è lo strumento che disciplina le attività consentite).
Tra le attività consentite, a seconda delle diverse zone, ci sono, ad esempio:
- utilizzo parziale e controllato delle risorse naturale (utilizzazione boschiva, raccolta di frutti naturali e prodotti del sottobosco con regolamento);
- agricoltura tradizionale e biologica;
- allevamento non intensivo e secondo pratiche tradizionali;
- turismo controllato e sostenibile;
- piccole attività imprenditoriali tradizionali e di artigianato locale.
Nei parchi nazionali e regionali sono presenti oltre 850mila imprese, che sono parte integrante delle 328mila imprese della Green economy che impiegano oltre 3 milioni di lavoratori e generano un valore aggiunto di oltre 100miliardi di euro pari al 10.6% dell’intera economia del Paese. Il 17% dei posti di lavoro in Europa dipendono direttamente dalle risorse ecosistemiche delle aree protette.
Nei soli parchi nazionali la superficie agricola utilizzata (SAU) ammonta a 752.400 ettari (il 50,9% del totale) con 55mila occupa diretti e una diffusione di imprese agricole del 21,4% (a livello nazionale è il 13%). La filiera agroalimentare e le produzioni nelle aree protette conta 733 prodotti di qualità certificati di cui 150 dop/doc/igp; 263 prodotti della tradizione agroalimentare PTA; 198 prodotti classificati dall’Atlante dei prodotti tipici dei Parchi e 114 certificati dall’INSOR (istituto nazionale di sociologia rurale).
I 30 anni della legge 394/91
La Legge quadro sulle aree protette (394/91) in 30 anni di applicazione ha comportato molti passi in avanti nel sistema nazionale delle aree protette, a partire dalla superficie di territorio sottoposto a tutela, passato dal 3 all’11%. Ha inoltre portato a un cambiamento di approccio nella gestione degli ecosistemi naturali, andando oltre la loro tutela per metterli al centro di percorsi di rigenerazione di territori, economie e tessuti sociali.
Nel 2020 l’Onu ha lanciato una nuova sfida, ovvero mettere sotto tutela almeno il 30% delle superfici emerse e degli oceani di tutto il mondo, per stabilizzare di qui al 2030 il tasso di perdita di biodiversità e consentire agli ecosistemi di rigenerarsi e ritrovare un equilibrio entro il 2050. In questo contesto l’Italia dovrà triplicare la sua superficie protetta in pochi anni.
Questo obiettivo comporta la necessità di aggiornare la Legge 394/91, includendo in questa revisione nuove competenze e modelli partecipativi – ora mancanti -, politiche aggiornate alle nuove minacce che incombono sulla biodiversità, a cominciare dall’impatto del cambiamento climatico e il consumo di suolo, e ancora la promozione dell’agroecologia e dell’agricoltura biologica. Un capitolo particolare dovrà essere dedicato alle aree marine protette, colmando un gap d’attenzione già presente nella formulazione originaria della legge quadro.
Domande e risposte
I parchi impediscono lo sviluppo economico?
FALSO. Nei 24 Parchi italiani che interessano circa 1,5 milioni di ettari, pari al 5,1% del territorio nazionale, sono presenti 706.058 imprese di cui il 13,1% sono imprese giovani (under 35) e il 26,8 % imprese femminili. Queste realtà sono una parte delle 328.000 imprese della green economy che impiegano oltre 3 milioni di lavoratori e generano un valore aggiunto di oltre 100 miliardi di euro, pari al 10,6% dell’intera economia del nostro Paese. A livello globale le aree protette rappresentano una “grande banca” con un capitale naturale che genera servizi ecosistemici fondamentali per la nostra vita (aria, acqua, biodiversità, suolo fertile, foreste, regolazione del clima) e per l’economia. Basti pensare che il 17% dei posti di lavoro in Europa dipende direttamente dalle risorse ecosistemiche mantenute efficienti.
Nessuno vuole i Parchi nel proprio territorio.
FALSO. I Comuni dei soli Parchi nazionali sono 550 per una popolazione di 706.058 abitanti. Di questi nessuno preme per uscirne, mentre ci sono Parchi che hanno allargato i loro confini. È il caso del Parco nazionale della Val Grande che è stato ampliato di 2.423 ettari (il 16,6% del totale) con l’ingresso di tre nuovi Comuni e l’ampliamento del territorio su altri tre Municipi già interessati dall’Ente. Ci sono invece ritardi nell’istituzione delle nuove aree protette previste da norme nazionali e regionali.
Se nasce un Parco non si potrà più fare agricoltura?
No. 752.400 ettari di territorio dei Parchi nazionali (il 50,9% del totale nazionale) è interessato da attività agricole con 55.000 occupati diretti e una diffusione di imprese agricole del 21,4% (a livello nazionale è il 13%). L’agricoltura dei Parchi è un modello di efficacia e competitività per i piccoli produttori che hanno saputo rispondere alla nuova richiesta dei consumatori, i quali sempre di più preferiscono produzioni biologiche e a basso impatto. L’intero comparto agricolo ha colto l’opportunità di produrre con maggiore qualità e con metodi biologici e tutelando la biodiversità presente nei territori protetti. Nelle 871 aree protette istituite si producono: 733 prodotti di qualità certificati di cui 150 Dop, Doc o Igp; 263 prodotti della tradizione agroalimentare italiani (Pat); 198 prodotti classificati dall’Atlante dei prodotti tipici dei Parchi; e 114 certificati dall’Insor (Istituto nazionale di sociologia rurale).