Gli inceneritori sono una soluzione conveniente al problema dei rifiuti?

L’annuncio del Sindaco Di Roma Roberto Gualtieri di voler costruire un nuovo inceneritore nella capitale, ha rilanciato il dibattito su questa tecnologia e la sua efficacia per la gestione dei rifiuti, in particolare in un’ottica di economia circolare e decarbonizzazione.
Come funziona un inceneritore?
Un inceneritore è un impianto industriale di incenerimento dei rifiuti tramite combustione ad alta temperatura, con l’obiettivo di eliminarli o comunque di ridurne il volume.
Esistono diverse tipologie di inceneritori, in base al meccanismo usato per l’incenerimento. Ma essenzialmente il processo si svolge secondo le seguenti fasi:
- stoccaggio dei rifiuti, in un’area dotata di impianti di aerazione per ridurre gli odori. Da qui i rifiuti vengono sminuzzati e trasportati al passaggio successivo.
- Combustione ad alta temperatura (tra gli 850 e i 1100 gradi centigradi negli inceneritori più diffusi – quelli a griglie mobili), in una camera o forno dove viene inserita una corrente di aria per garantire l’ossigenazione e, a volte e in base alla composizione del combustibile, anche gas metano.
- Produzione di vapore e di energia elettrica: il calore della combustione vaporizza l’acqua in circolazione e il vapore prodotto mette in movimento una turbina elettrica che trasforma l’energia termica in energia elettrica.
- Estrazione delle ceneri: i prodotti della combustione, ovvero la frazione non combustibile dei rifiuti, vengono raccolti e raffreddati in una vasca piena di acqua, poi estratti e smaltiti in discariche speciali. Le polveri fini invece vengono intercettate da sistemi di filtrazione e sono trattate come rifiuti speciali pericolosi. Parte di questa frazione può essere recuperata (metalli preziosi e materiali inerti).
- Trattamento dei fumi di combustione, che passano attraverso un sistema di filtraggio per l’abbattimento di agenti inquinanti e poi rilasciati in atmosfera.
In un inceneritore vengono trattati i rifiuti solidi urbani (RSU), i rifiuti speciali non tossici, e a volte e in impianti dedicati anche fanghi di depurazione o rifiuti medici non pericolosi.
Nel 2020, sul territorio nazionale, sono operativi 37 impianti di incenerimento che trattano rifiuti urbani. Di questi, 25 sono al Nord, 5 al Centro e 6 al Sud. La quantità totale di rifiuti urbani inceneriti rappresenta il 18% del totale (5,6 Mton).
C’è differenza tra inceneritore e termovalorizzatore?
La parola “termovalorizzatore” è oramai un sinonimo di “inceneritore”, ed è usata solo in Italia. In Europa, e nelle norme europee, si usa solo la parola “incinerator”.
Il termine, introdotto negli anni 90 per poter inserire anche questi impianti tra quelli oggetto di incentivi per le fonti energetiche rinnovabili, vuole sottolineare il fatto che, oltre all’incenerimento dei rifiuti, nell’impianto industriale si produce anche energia elettrica. Il vapore acqueo che si crea nella camera di combustione va a muovere una turbina che trasforma così l’energia termica in elettrica, con un rendimento energetico inferiore rispetto a quanto avviene in impianti dedicati solo alla produzione di energia.
Da tempo tutti gli impianti di incenerimento sono costruiti in questo modo, ovvero con le turbine per la produzione di energia elettrica, e ne rimangono solo pochi, obsoleti, che invece non lo fanno. Fare quindi differenza tra i due termini è ridondante.
Diverso il discorso relativo al teleriscaldamento: alcuni inceneritori abbinano al sistema di generazione di energia elettrica, sistemi che permettono il recupero del calore prodotto che verrà poi utilizzato per produrre acqua calda del calore da distribuire alle abitazioni circostanti.
Che impatti ha un inceneritore su ambiente e salute?
Come abbiamo visto, nel processo di incenerimento di producono scorie, polveri e fumi, che vanno a loro volta trattati e/o smaltiti. In particolare, si producono ceneri per circa il 10% del volume e il 30% del peso, e polveri fini per circa il 4% del peso.
Oltre ai prodotti associati al normale processo di combustione (come particolato, SO2, NOx e CO2), se ne trovano altri che possono comprendere sostanze tossiche come metalli pesanti e molecole organiche aromatiche (diossine e IPA).
Studi epidemiologici rivelano bassa incidenza sull’aumento di tumori di vario tipo nella popolazione che vive nei pressi di impianti. È stato rilevato anche l’aumento della concentrazione di alcune sostanze pericolose (in particolare i metalli pesanti) nel terreno e nelle piante, che possono entrare nella catena alimentare tramite bioaccumulo. L’impatto più significativo però risulta quello delle emissioni di CO2, gas climaterante, che va a contribuire all’aumento globale delle temperature e alla crisi climatica in atto.
È conveniente costruire nuovi inceneritori?
Le principali obiezioni alla costruzione di nuovi impianti sono soprattutto di natura economica.
Oggi giorno l’economia si sta spostando sempre più verso un modello circolare, che vede i rifiuti come materie prime secondarie da reimmettere nel ciclo produttivo. L’incenerimento di tali materiali risponde a logiche economiche superate, di tipo lineare, che si basa su uno sfruttamento delle risorse naturali praticamente illimitato e vedono il rifiuto come materiale di cui disfarsi. Incenerire i rifiuti significa quindi togliere risorse a un settore economico in forte crescita nel nostro paese, e non solo, oltre ad appesantire l’impatto ambientale dell’industria che non può continuare a basarsi in modo indefinito sulle risorse naturali. Questa considerazione va fatta anche alla luce del fatto che, per un corretto funzionamento dell’impianto – sia per ottimizzarne l’efficienza sia per ridurre il rischio di incidenti dovuti a rallentamenti dei processi – è fondamentale garantire un apporto costante di rifiuti all’impianto. Questi ragionamenti sono al netto di valutazioni dei benefici ambientali, sia dal punto di vista delle emissioni (recuperare rifiuti invece di bruciarli riduce notevolmente l’apporto di gas climalteranti in atmosfera).
A questo si deve aggiungere che, secondo le indicazioni dell’Unione Europea, i costi di gestione dell’incenerimento potrebbero aumentare notevolmente nel contesto delle politiche di raggiungimento della neutralità climatica al 2050. Gli inceneritori potrebbero doversi infatti adeguare ai meccanismi ETS (Emission Trading Scheme) di scambio delle quote di emissioni di CO2 entro il 2026, essendo impianti che producono grandi quantità di CO2 durante il loro esercizio. Questo meccanismo peserà di almeno 80 euro per tonnellata di rifiuti da trattare, andando ad aumentare i costi di esercizio e, in ultima analisi, non facendo risparmiare i cittadini sulle imposte dei rifiuti.
A questo si aggiunge che, sempre l’Unione Europea, nella sua strategia di trattamento dei rifiuti indica di non costruire nuovi inceneritori e di implementare piani di decomissioning, mentre indica nel riciclo e nel recupero di materia le vie principali di trattamento.
Domande e risposte
L’inceneritore è green?
NO.
Falso. L’Unione Europea, che pure come è noto deve sempre cercare compromessi fra interessi economici contrastanti e dei suoi Paesi membri spesso in conflitto, su questo tema è chiarissima: l’incenerimento dei rifiuti non può essere compreso nella tassonomia (il suo regolamento che stabilisce cosa è finanziabile e cosa non lo è) perché non rispetta il principio basilare Do not significant harm (non fa danni significativi) all’ambiente e al percorso di decarbonizzazione in cui la Ue si è impegnata con obiettivi vincolanti al 2030 per raggiungere net zero al 2050. Una scelta ribadita di recente quando la Commissione Ue rimandò indietro una prima bozza di Pnrr preparata dal nostro Governo dove erano previsti, tra gli altri interventi, sia l’incenerimento da rifiuti che l’idrogeno blu (con cattura della CO2) bocciandoli entrambi.
L’inceneritore “conviene” economicamente?
NO, anche per un motivo strettamente legato al precedente. Il Parlamento Ue ha recentemente approvato (a larghissima maggioranza) un emendamento al pacchetto Fit for 55 che prevede che l’incenerimento dai rifiuti non sia più esentato dalla partecipazione allo schema Ets (quello che prevede un pagamento per ogni tonnellata di CO2 emessa) già dal 2026. Quindi, siccome il pacchetto sarà definitivamente approvato nei prossimi mesi, anche gli inceneritori pagheranno una cifra che già oggi è 80 euro/ton e probabilmente destinata a crescere quasi raddoppiando così le tariffe di conferimento − oggi intorno a 120/140 − e rendendo l’incenerimento persino più caro dell’assurdo export di rifiuti cui oggi sono condannate alcune città e regioni per mancanza di impianti di riciclo (quelli davvero utili e convenienti). D’altronde è logico: un inceneritore emette 6/700 grammi di CO2 ogni kWh prodotta quando con l’attuale mix energetico siamo a circa 300 (in diminuzione grazie al progressivo ricorso alle rinnovabili).
L’inceneritore risolve il problema di dover realizzare una discarica e risana quelle “abusive”?
NO.
Per fare un esempio, il Governatore siciliano Musumeci ha collegato la sua scelta inceneritorista con la bonifica delle vecchie 500 discariche abusive che avvelenano quella regione: non si capisce alcun possibile nesso. Ma anche pensare che un mega-inceneritore da 600.000 tonnellate non richieda una discarica di servizio è insensato. Le ceneri prodotte sono almeno il 20%, si favoleggia di riutilizzo delle stesse ma attualmente dagli impianti anche più recenti (come quello di Torino) vanno a finire in discarica, e più saranno avanzati i sistemi di filtrazione delle emissioni per ridurne l’impatto inquinante sul territorio circostante, maggiore sarà la percentuale di ceneri contaminate, quindi pericolose che richiederanno una discarica ad hoc (questi sono i “mitici inceneritori di nuova generazione”).
L’inceneritore serve per restituire il decoro alle nostre città?
NO.
Questo è un argomento popolare specialmente tra gli editorialisti, che nella Capitale hanno salutato entusiasti la scelta del Sindaco Gualtieri. Purtroppo per loro sono le cronache di queste settimane nonché l’esperienza vissuta di ciascun cittadino romano a smentirli clamorosamente. Il decoro di una città si assicura con una efficiente organizzazione della raccolta (differenziata e con il porta a porta) a prescindere dal destino finale dei rifiuti. Per i quali sarebbe sempre necessario pensare al loro recupero in un’ottica di vera economia circolare che con l’inceneritore non c’entra affatto.
Non si tratta di inceneritori ma di “termovalorizzatori”, giusto?
NO.
La differenza sarebbe che i primi bruciano solo rifiuti mentre i secondi (“virtuosamente”) producono energia elettrica e recuperano calore. Peccato che non esistano più da decenni impianti che si limitino a bruciare rifiuti senza produrre energia elettrica. Infatti, in Europa si chiamano tutti incinerator: il neologismo solo italiano di termovalorizzatore è solo una tipica operazione di greenwashing.