Bloccare il traffico aiuta a diminuire lo smog?
L’inquinamento atmosferico è uno dei fattori principali di rischio per l’ambiente e la salute in Europa, in particolare nelle aree urbane, in quanto causa malattie cardiovascolari e respiratorie che, nei casi peggiori, portano a morte prematura. Ogni anno d’inverno il tema torna di attualità, generalmente per l’aumento delle concentrazioni di polveri sottili nelle città, ma la questione è più ampia e non va sottovalutata durante tutto l’arco dell’anno.
Quali sono gli inquinanti atmosferici principali?
Gli inquinanti atmosferici sono le sostanze che alterano la normale composizione chimica dell’aria con conseguenze sulla salute dell’uomo e dell’ambiente. Quelli che in maniera più significativa incidono sulla salute umana sono:
- il particolato atmosferico (o polveri sottili – PM10 e PM2,5): l’insieme di particelle atmosferiche solide e liquide con diametro compreso fra 0,1 e 100 micron, e si origina sia da fonti antropiche che da fonti naturali. Le particelle di dimensioni minori possono rimanere nell’aria per molto tempo e sono in grado di entrare nel sistema respiratorio fino a raggiungere i polmoni e, da qui, la circolazione sanguigna, causando malattie respiratorie e cardiovascolari. Deriva principalmente dall’uso di combustibili nel riscaldamento domestico, nei trasporti, nelle attività industriali e agricole;
- gli ossidi di azoto (NOx): gas sia di origine naturale (eruzioni vulcaniche, incendi, processi biologici), sia – e in maniera prevalente – di origine antropica a causa delle combustioni ad alta temperatura, come quelle che avvengono all’interno delle camere di combustione dei motori degli autoveicoli. Altre fonti di ossidi di azoto sono le centrali termoelettriche e in genere tutti gli impianti di combustione di tipo industriale. Gli ossidi di azoto sono responsabili di molte malattie dell’apparato respiratorio, come bronchiti croniche, asma ed enfisema polmonare. Inoltre, interferiscono con la vegetazione causando danni alle foglie, e contribuiscono alla formazione delle piogge acide con conseguenze importanti sugli ecosistemi aquatici e terrestri;
- l’ozono (O3): è un inquinante secondario, che si forma quando calore e forte radiazione luminosa determinano reazioni chimiche tra ossidi di azoto e composti organici volatili (COV) tra cui il metano. È quindi un inquinante tipicamente estivo e fa parte del cosiddetto “smog fotochimico”. È un gas irritante per gli occhi, le vie respiratorie e le mucose in genere.
Tra gli altri inquinanti atmosferici normati ci sono: benzo[a]pyrene (BaP), ossidi di zolfo (SOX), monossido di carbonio (CO), benzene (C6H6), Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA), ammoniaca (NH3), piombo (Pb) ed elementi in tracce (As, Cd, Ni) – provenienti da diversi tipi di attività industriali.
Quali sono le fonti?
L’inquinamento atmosferico ha diverse fonti, sia antropiche sia di origine naturale:
- utilizzo di combustibili fossili nella produzione di elettricità, nei trasporti, nell’industria e nelle abitazioni;
- processi industriali e utilizzo di solventi, per esempio nell’industria chimica e mineraria;
- agricoltura;
- trattamento dei rifiuti;
- eruzioni vulcaniche, polveri aerodiffuse, spuma del mare ed emissioni di composti organici volatili provenienti dalle piante sono esempi di fonti di emissione naturali.
Per quanto riguarda le fonti antropogeniche degli inquinanti atmosferici, il traffico veicolare, i riscaldamenti domestici e i settori industriale e agricolo sono da considerarsi le fonti principali.
Nonostante le emissioni dei principali inquinanti atmosferici e le loro concentrazioni sono diminuite significativamente negli ultimi due decenni in Europa, in molte regioni, tra cui la Pianura Padana, la loro concentrazione resta comunque alta e i rischi per salute e ambiente elevati.
Quali sono gli effetti su ambiente e salute?
L’inquinamento atmosferico è la causa principale di molte patologie fisiche e mentali e di morti premature, in particolare tra i bambini, tra le persone con condizioni di salute già compromesse e tra la popolazione più anziana. Tra gli effetti sanitari più diffusi ci sono l’insorgere di malattie polmonari croniche, asma, cancro ai polmoni e infarto. A lungo andare, questo causa una riduzione dell’aspettativa di vita, aumenta i costi di assistenza medica e determina anche impatti economici negativi, in termini di giorni di produttività persi in modo trasversale a tutti i settori.
Si è stimato che nel 2019, nei 27 Stati Membri dell’Unione Europea sono state 307.000 le morti premature dovute all’esposizione cronica alle polveri sottili, 40.400 all’esposizione agli ossidi di azoto, 16.800 all’esposizione all’ozono. L’Italia è uno degli Stati maggiormente colpiti, in termini di morti premature per NO2 e PM2.5.
L’inquinamento atmosferico ha pesanti ripercussioni anche sull’ambiente. Oltre ai fenomeni globali conosciuti – come l’effetto serra e il riscaldamento globale, le piogge acide e il buco nell’ozono, non vanno sottovalutati gli effetti diretti sugli ecosistemi sia terrestri che marini. Gli inquinanti infatti possono provocare l’acidificazione e l’eutrofizzazione di ecosistemi sensibili, causando danni alla vegetazione, alterazione dei cicli biogeochimici di alcuni elementi fondamentali, maggiore suscettibilità a malattie e parassiti, perdita di biodiversità, riduzione della resa agricola.
Com’è la situazione in Italia?
In Italia le emissioni di molti inquinanti atmosferici sono diminuite negli ultimi decenni; tuttavia, dato che il rapporto tra emissioni e concentrazioni in atmosfera degli inquinanti non è diretto e lineare, i problemi di qualità dell’aria persistono. Prendendo in considerazione il PM10, nel nostro paese il valore di riferimento OMS giornaliero (50 μg/m3, da non superare più di 3 volte in un anno), è stato superato nel 2020 nel 75,8% delle stazioni di monitoraggio sparse su quasi tutto il territorio nazionale.
Gli effetti del prolungato blocco del traffico causato dal lockdown nel 2020 (marzo-maggio), a causa della pandemia COVID-19, hanno portato a una riduzione una riduzione delle emissioni di polveri sottili tra il 15% e il 25%, e alla riduzione delle emissioni di NOx, inquinante maggiormente legato alle emissioni da traffico, fino al 40%.
In Italia le competenze in materia di inquinamento atmosferico sono in capo al Ministero della transizione ecologica (MITE) e alle Regioni che, con il Decreto Legislativo 155 del 2010, hanno il compito di redigere il Piano Regionale degli Interventi per la qualità dell’Aria (PRIA). L’efficacia dell’applicazione di questi Piani, ove siano stati applicati, è sotto gli occhi di tutti. È infatti frequente l’adozione di misure di temporanee di emergenza, che devono scattare dopo 3 giorni di superamento dei limiti, quali la limitazione circolazione veicoli più inquinanti in tutto o parte del territorio regionale, con il solo obiettivo di tamponare una situazione critica.
Il 4 giugno 2019 è stato firmato il protocollo “Clean air”, che istituisce il Piano d’azione nazionale per il miglioramento della qualità dell’aria, che contiene misure a lungo termine relative ai tre settori che in modo prevalente causano gli alti livelli di inquinamento atmosferico: trasporti, agricoltura e riscaldamento domestico a biomassa. Anche in questo caso, delle molte misure elencate, poche hanno visto la luce.
Quali sono gli inquinanti atmosferici principali?
Gli inquinanti atmosferici sono le sostanze che alterano la normale composizione chimica dell’aria con conseguenze sulla salute dell’uomo e dell’ambiente. Quelli che in maniera più significativa incidono sulla salute umana sono il particolato atmosferico (o polveri sottili), gli ossidi di azoto e l’ozono.
Particolato atmosferico (o polveri sottili)
Per particolato atmosferico si intende l’insieme di particelle atmosferiche solide e liquide con diametro compreso fra 0,1 e 100 micron, e si origina generalmente sia da fonti antropiche che da fonti naturali. Sia quelle antropiche che quelle naturali possono dar luogo a particolato primario (emesso direttamente nell’atmosfera) o secondario (formatosi in atmosfera ad esempio attraverso reazioni chimiche o dovuto al risollevamento di polveri che si erano già depositate).
Le particelle più grandi generalmente raggiungono il suolo in tempi piuttosto brevi e causano fenomeni di inquinamento su scala ristretta. Le particelle di dimensioni minori possono rimanere nell’aria per molto tempo e sono quelle che preoccupano maggiormente per gli impatti sulla salute: sono in grado infatti di entrare nel sistema respiratorio fino a raggiungere i polmoni e, da qui, la circolazione sanguigna, causando di conseguenza malattie respiratorie e cardiovascolari.
Il particolato è solitamente classificato in base alle dimensioni delle particelle. In particolare, si prendono in considerazione i seguenti:
- PM10– particolato formato da particelle con diametro inferiore a 10 µm
- PM2,5– particolato fine con diametro inferiore a 2,5 µm
- Particolato ultrafine – con diametro inferiore a 1 µm
Il particolato atmosferico deriva principalmente dall’uso di combustibili nel riscaldamento domestico, nei trasporti, nelle attività industriali e agricole. Si produce anche da fonti naturali (l’erosione del suolo, gli incendi boschivi, le eruzioni vulcaniche, la dispersione di pollini, il sale marino) o si forma in atmosfera dalla combinazione di altri gas. È quindi molto presente in aree urbane e industriali, come ad esempio la Pianura Padana, area tra le più colpite in Europa da questo inquinante anche a causa delle sue particolari caratteristiche morfologiche e meteorologiche.
La direttiva 2008/50/CE e il D.Lgs 155/2010 stabiliscono per il PM10 un valore limite annuale di 40 µg/m³ e un valore limite giornaliero di 50 µg/m³ da non superare più di 35 volte in un anno. Per il PM2,5 il valore limite annuale è di 25 µg/m³
Ossidi di azoto (NOx)
Gli ossidi di azoto (comunemente indicati come NOx) presenti in aria come inquinanti naturali ed antropogenici e che destano maggiori preoccupazioni in termini di inquinamento atmosferico, sono essenzialmente ossido e biossido di azoto (NO e NO2).
L’ossido di azoto (NO) è un inquinante primario che si forma generalmente dai processi di combustione ad alta temperatura; è un gas a tossicità limitata, al contrario del biossido di azoto. Il biossido di azoto invece è un gas irritante, responsabile con altri prodotti del cosiddetto smog fotochimico, in quanto base per la produzione di una serie di inquinanti secondari pericolosi come l’ozono o l’acido nitrico. Contribuisce per circa un terzo alla formazione delle piogge acide.
Gli ossidi di azoto sono sia di origine naturale (eruzioni vulcaniche, incendi, processi biologici), sia – e in maniera prevalente – di origine antropica a causa delle combustioni ad alta temperatura, come quelle che avvengono all’interno delle camere di combustione dei motori degli autoveicoli. Altre fonti di ossidi di azoto sono le centrali termoelettriche e in genere tutti gli impianti di combustione di tipo industriale.
Gli ossidi di azoto sono responsabili di molte malattie dell’apparato respiratorio, come bronchiti croniche, asma ed enfisema polmonare. Inoltre, interferiscono con la vegetazione causando danni alle foglie, e contribuiscono alla formazione delle piogge acide con conseguenze importanti sugli ecosistemi aquatici e terrestri.
Per il biossido di azoto, il D. Lgs. 155/2010 stabilisce un valore limite orario (200 µg/m³ di concentrazione media oraria da non superare più di 18 volte in un anno) e un valore limite annuale medio (40 µg/m³).
Ozono (O3)
Conosciamo l’ozono (O3) come composto fondamentale per la vita sulla Terra in quanto, in stratosfera, filtra le radiazioni UV del Sole dannose per la vita. Lo stesso composto risulta invece dannoso se presente in elevate quantità a livello di troposfera, la parte di atmosfera in cui viviamo e respiriamo. Qui l’ozono è un inquinante secondario, che si forma quando calore e forte radiazione luminosa determinano reazioni chimiche tra ossidi di azoto e composti organici volatili (COV) tra cui il metano. È quindi un inquinante tipicamente estivo e fa parte del cosiddetto “smog fotochimico”. Si accumula principalmente nelle zone verdi e nelle aree rurali.
È un gas irritante per gli occhi, le vie respiratorie e le mucose in genere. Elevate concentrazioni di questo inquinante nell’aria possono favorire l’insorgenza di disturbi sanitari e l’acuirsi di malattie respiratorie croniche e asma.
Il D.Lgs. 155/2010 definisce per l’ozono un obiettivo a lungo termine (OLT, pari a 120 μg/m3, calcolato come valore massimo giornaliero della media mobile della concentrazione di ozono su 8 ore consecutive), una soglia di informazione (180 μg/m3 ) e una soglia di allarme (240 μg/m3 ) entrambe come media oraria.
Altri inquinanti atmosferici
Tra gli altri inquinanti atmosferici normati ricordiamo:
- Benzo[a]pyrene (BaP) – composto gassoso carcinogeno che si produce principalmente dalla combustione di carbone, legname e in maniera minore da rifiuti agricoli,
- Ossidi di zolfo (SOX) – tipici inquinanti delle aree urbane e industriali (soprattutto portuali),
- monossido di carbonio (CO) e benzene (C6H6) – presenti soprattutto in prossimità delle sorgenti di traffico,
- Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) – prodotti dalla combustione incompleta di materiale organico,
- Ammoniaca (NH3) – inquinante precursore di particolato secondario, che deriva dalle pratiche agricole (98%),
- Piombo (Pb) e Elementi in tracce (As, Cd, Ni) – provenienti da diversi tipi di attività industriali.
Quali sono le fonti?
L’inquinamento atmosferico ha diverse fonti, sia antropiche sia di origine naturale:
- utilizzo di combustibili fossili nella produzione di elettricità, nei trasporti, nell’industria e nelle abitazioni;
- processi industriali e utilizzo di solventi, per esempio nell’industria chimica e mineraria;
- agricoltura;
- trattamento dei rifiuti;
- eruzioni vulcaniche, polveri aerodiffuse, spuma del mare ed emissioni di composti organici volatili provenienti dalle piante sono esempi di fonti di emissione naturali.
Abbiamo visto come, per quanto riguarda le fonti antropogeniche degli inquinanti atmosferici, il traffico veicolare, i riscaldamenti domestici e i settori industriale e agricolo sono da considerarsi le fonti principali. Ovvero, in generale, i settori e le attività umane che prevedono processi di combustione di combustibili fossili. Il contributo dei vari settori cambia a seconda degli inquinanti considerati. In particolare, secondo la EEA (Agenzia Europea per l’Ambiente), i dati al 2019 dicono che:
- per le polveri sottili primarie, la fonte principale sia per il PM10 che il PM2,5 è stato il consumo di energia nei settori residenziali, commerciali e istituzionali, responsabili per il 40% e il 53% rispettivamente. L’industria manifatturiera ed estrattiva e i trasporti su strada sono stati altri settori significativi per entrambi gli inquinanti (soprattutto per le polveri secondarie), mentre l’agricoltura lo è stato in particolare per il PM10.
- Il settore agricolo è stato responsabile per il 94% delle emissioni di ammoniaca, tra i precursori di molti inquinanti secondari.
- Il settore dei trasporti è stata la fonte prevalente per le emissioni di ossidi di azoto (39%).
Nonostante le emissioni dei principali inquinanti atmosferici e le loro concentrazioni sono diminuite significativamente negli ultimi due decenni in Europa, in molte regioni, tra cui la sopra citata Pianura Padana, la loro concentrazione resta comunque alta e i rischi per salute e ambiente elevati.
Quali sono gli effetti su ambiente e salute?
L’inquinamento atmosferico provoca danni alla salute e all’ambiente. È la causa principale di molte patologie fisiche e mentali e di morti premature, in particolare tra i bambini, tra le persone con condizioni di salute già compromesse e tra la popolazione più anziana. Tra gli effetti sanitari più diffusi ci sono l’insorgere di malattie polmonari croniche, asma, cancro ai polmoni e infarto. A lungo andare, questo causa una riduzione dell’aspettativa di vita, aumenta i costi di assistenza medica e determina anche impatti economici negativi, in termini di giorni di produttività persi in modo trasversale a tutti i settori.
Si è stimato che nel 2019, nei 27 Stati Membri dell’Unione Europea sono state 307.000 le morti premature dovute all’esposizione cronica alle polveri sottili, 40.400 all’esposizione agli ossidi di azoto, 16.800 all’esposizione all’ozono. L’Italia è uno degli Stati maggiormente colpiti, in termini di morti premature per NO2 e PM2.5.
Nel 2021 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha pubblicato nuove linee guida, sulla base delle più recenti evidenze scientifiche degli impatti della qualità dell’aria sulla salute umana. L’Unione Europea, con il Piano d’azione Zero Inquinamento (Zero Pollution Action Plan target) si è dotata di nuovi standard, finalizzati alla riduzione delle morti premature dovute all’esposizione alle polveri sottili del 55% al 2030 rispetto al 2005, ovvero di 250.800 morti in meno l’anno.
In aggiunta agli effetti diretti sulla salute umana, l’inquinamento atmosferico ha pesanti ripercussioni anche sull’ambiente. Oltre ai fenomeni globali conosciuti – come l’effetto serra e il riscaldamento globale causato dalla CO2 e da altri gas climalteranti, le piogge acide causate da biossido di zolfo e ossidi di azoto, il buco nell’ozono stratosferico causato dai Cfc (clorofluorocarburi), non vanno sottovalutati gli effetti diretti sugli ecosistemi sia terrestri che marini. Gli inquinanti infatti possono provocare l’acidificazione e l’eutrofizzazione di ecosistemi sensibili, causando danni alla vegetazione, alterazione dei cicli biogeochimici di alcuni elementi fondamentali (come ad esempio il carbonio), maggiore suscettibilità a malattie e parassiti, perdita di biodiversità, riduzione della resa agricola.
Com’è la qualità dell’aria in Italia?
Anche in Italia, così come nel resto d’Europa, le emissioni di molti inquinanti atmosferici sono diminuite notevolmente negli ultimi decenni, con conseguente miglioramento della qualità dell’aria; tuttavia, le concentrazioni di inquinanti atmosferici sono ancora troppo elevate e i problemi di qualità dell’aria persistono, anche perché il rapporto tra emissioni e concentrazioni in atmosfera degli inquinanti non è generalmente diretto e lineare.
I dati relativi al PM10 registrati nel 2020, relativi a complessive 534 stazioni di monitoraggio, evidenziano che il valore limite giornaliero (50 μg/m3, da non superare più di 35 volte in un anno) è stato superato in 155 stazioni (29%), in larga prevalenza (131 stazioni su 534) nel bacino. Per quanto riguarda invece il valore di riferimento OMS giornaliero (50 μg/m3, da non superare più di 3 volte in un anno), è stato superato nel 2020 in 405 stazioni (75,8%) su quasi tutto il territorio nazionale, con la sola eccezione della provincia autonoma di Bolzano. Il superamento del limite medio anno di 25 microgrammi al metro cubo per il PM2.5 è avvenuto in 5 (2%) delle stazioni. Per quanto riguarda l’NOx, nel 2020 le stazioni che non hanno rispettato il valore limite annuale di 40 μg/m3 sono state 14 (2%).
Gli effetti del lockdown nel 2020 (marzo-maggio), a causa della pandemia COVID-19, si sono fatti sentire maggiormente sugli inquinanti legati alle emissioni da traffico. Molto più marcati, infatti, su NO2, meno evidenti sul PM10. Si è registrata infatti una riduzione delle emissioni di polveri sottili tra il 15% e il 25%, un dato forse minore alle aspettative, ma va ricordato che è avvenuto in un periodo in cui solitamente le emissioni di particolato sono già meno elevate (il picco si ha nei mesi invernali). L’impatto sulle emissioni di NOx è stato invece maggiore, causando una diminuzione fino al 40% e una coerente riduzione della concentrazione in atmosfera.
Il nostro Paese, a causa della situazione cronica rispetto alla qualità dell’aria, ha all’attivo ben tre procedure di infrazione con la Commissione, due per le polveri sottili (PM10 e PM2,5) e una per il biossido di azoto (NO2), in territori dove la salute dei cittadini è stata messa ripetutamente a rischio per le elevate concentrazioni degli inquinanti atmosferici. La prima condanna risale al 10 novembre 2021, quando L’Italia è stata condannata per il superamento continuativo dei limiti di PM10 negli anni che vanno dal 2008 al 2017.
Quali le misure previste contro l’inquinamento atmosferico?
In Italia le competenze in materia di inquinamento atmosferico sono in capo al Ministero della transizione ecologica (MITE) e alle Regioni che, con il Decreto Legislativo 155 del 2010, hanno il compito di redigere il Piano Regionale degli Interventi per la qualità dell’Aria (PRIA), strumento di pianificazione e programmazione mirato a ridurre le emissioni in atmosfera a tutela della salute e dell’ambiente.
Sulla base di misurazioni dirette (centraline di monitoraggio) e modelli di valutazione, il piano prevede la zonizzazione del territorio in zone a livelli diversi di concentrazione degli inquinanti. Per ognuna di queste zone si devono poi predisporre misure di mantenimento o miglioramento della qualità dell’aria, a breve e lungo termine, per garantire il mantenimento o riportare i livelli di inquinanti sotto i valori limite.
L’efficacia dell’applicazione di questi Piani, ove siano stati applicati, è sotto gli occhi di tutti. È infatti frequente l’adozione di misure di temporanee di emergenza, che debbono scattare dopo 3 giorni di superamento dei limiti, quali la limitazione circolazione veicoli più inquinanti in tutto o parte del territorio regionale, o, come prevede il Piano straordinario per il bacino padano, il divieto combustione legna in stufe sotto 4 stelle, il divieto spandimento liquami zootecnici o l’abbassamento di 1°C del riscaldamento domestico.
L’azione al solo livello locale si è dimostrata con il tempo ampiamente inefficace.
Il 4 giugno 2019 è stato firmato il protocollo “Clean air”, che istituisce il Piano d’azione nazionale per il miglioramento della qualità dell’aria. Della durata di 24 mesi, il Piano contiene misure relative ai tre settori che in modo prevalente causano gli alti livelli di inquinamento atmosferico: trasporti, agricoltura e riscaldamento domestico a biomassa. È articolato in 5 ambiti di intervento, uno trasversale e quattro tematici, e per ciascun ambito di intervento individua specifiche azioni operative inquadrate in una strategia unica e complessiva, come ad esempio l’introduzione dei criteri ambientali nella disciplina della circolazione in ambito extraurbano per quanto riguarda la mobilità, interventi per l’abbattimento delle emissioni di ammoniaca in agricoltura, o ancora limitazioni all’utilizzo degli impianti di riscaldamento alimentati a gasolio. Tra le misure trasversali erano previste azioni quali la razionalizzazione dei sussidi ambientalmente dannosi. Inoltre si ribadisce la necessità di uscire dal carbone entro il 2025.
Anche in questo caso, delle molte misure elencate, poche hanno visto la luce.
Domande e risposte
Il blocco del traffico serve? Nel 2020 nonostante il lockdown la qualità dell’aria è stata pessima come gli anni precedenti.
FALSO. Durante il primo lockdown (marzo-maggio 2020), in Italia come nel resto d’Europa, le emissioni di polveri sottili hanno visto una riduzione tra il 15 e il 25% rispetto allo spesso periodo dell’anno precedente; le emissioni degli ossidi di azoto (NO2) si sono invece ridotte fino al 40%, sempre rispetto al 2019. L’evidente diminuzione del traffico nel periodo del lockdown ha portato quindi l’aria ad essere più pulita. Il fatto che da un punto di vista normativo i valori medi annuali, o gli sforamenti giornalieri, siano rimasti elevati anche nel 2020 è da ricercare nel fatto che il lockdown è cominciato verso la metà di marzo, quando il “danno” era stato già fatto nei primi due mesi dell’anno (e si è venuto a ricreare nei successivi mesi di novembre e dicembre).
L’inquinamento da polveri sottili (PM10, PM 2,5) è causato principalmente dalle biomasse, è su quello che bisogna intervenire per risolvere il problema.
L’inquinamento da polveri sottili è causato principalmente dalle biomasse? È su quello che bisogna intervenire.
FALSO. Le polveri sottili si distinguono in primarie (quelle emesse direttamente da una sorgente, come un caminetto o un tubo di scappamento) e secondarie (che si formano a partire dalla presenza di altri inquinanti come l’ammoniaca o per azioni successive, come il risollevamento delle polveri depositate a terra dovuto al passaggio dei veicoli sulle strade). Se è vero che circa la metà delle polveri primarie hanno nella combustione delle biomasse il “motore” principale di emissione, va detto anche che questo tipo di polveri rappresenta un terzo di quelle totali. Il restante 65% è di tipo secondario. È per questo che settori come il traffico e la zootecnia incidono maggiormente, se consideriamo sia le polveri primarie che secondarie.
L’inquinamento atmosferico è un fenomeno solo invernale?
NO. L’inquinamento dovuto ad alcuni tipi di inquinanti specifici, come PM10, PM2,5 e NO2, ha nel periodo invernale le condizioni ideali per via del ristagno nell’aria di queste sostanze e quindi maggiori concentrazioni. Ma nel periodo estivo c’è un altro inquinante, l’ozono troposferico (O3), altrettanto dannoso per la salute dell’uomo e per l’ambiente e che raggiunge concentrazioni più elevate di quanto sarebbe consentito. La formazione di questo inquinante, di cui si parla molto raramente, è dovuta alla presenza di altri inquinanti nell’aria, come l’NO2, che grazie alle radiazioni solari scompone la molecola originaria dando origine ai tre atomi di ossigeno tipici dell’ozono.