Fotovoltaico e agricoltura possono convivere?

È possibile individuare un percorso per accelerare la diffusione del fotovoltaico in Italia, con soluzioni che rendano le aziende agricole protagoniste, scongiurando la sostituzione di colture con impianti, ma integrandoli e rendendoli un fattore di supporto al reddito agricolo che deve rimanere prevalente?
Per il fotovoltaico esiste, infatti, un nuovo “delivery model” (produzione e diffusione): l’agrivoltaico, che introduce la produzione fotovoltaica nelle aziende agricole integrandola con quella delle colture e con l’allevamento.
Una forma di “convivenza” particolarmente interessante per la decarbonizzazione del nostro sistema energetico, ma anche per la sostenibilità del sistema agricolo e la redditività a lungo termine di piccole e medie aziende del settore.
Cos’è l’agrivoltaico?
Con “agrivoltaico” si intende il sistema che permette di coltivare la terra producendo energia elettrica tramite pannelli fotovoltaici opportunamente posizionati, così da permettere il passaggio delle macchine agricole e la tradizionale lavorazione dei campi, o l’attività di pascolo. La resa agricola è garantita e l’energia prodotta senza consumo di suolo ed emissioni inquinanti in atmosfera.
Questa esigenza nasce dalla necessità di arginare l’emergenza climatica, che impone di rendere le fonti rinnovabili il centro di un sistema energetico che deve puntare alla decarbonizzazione entro il 2040, minimizzando l’impatto delle nuove installazioni sulle superfici coltivate.
Attualmente, il sistema nazionale di generazione elettrica evidenzia un fabbisogno annuo di circa 320 TWh (dati Terna 2019). Le rinnovabili nel loro complesso soddisfano quasi il 40% del fabbisogno elettrico, di cui il fotovoltaico genera poco più dell’8%.
La fonte fotovoltaica, da sola, dovrebbe arrivare entro il 2030 a soppiantare almeno il 60% dell’attuale generazione da fonti termiche fossili, percentuale ottenibile moltiplicando per 5 l’attuale potenza installata.
Considerando anche il fabbisogno supplementare legato alla necessità di realizzare accumuli di energia elettrica, corrisponderebbe a una superficie di circa 50.000 ettari, cioè 500 milioni di metri quadrati di pannelli. Si tratta di un’area molto vasta, che andrebbe collocata il più possibile su coperture esistenti, ma che comunque prevede l’installazione di una parte a terra, stimata in oltre 70.000 ettari, pari allo 0,6% della superficie agricola utilizzata e al 3% di incremento del suolo urbanizzato totale.
La perdita di superfici agricole comporterebbe un sacrificio difficilmente accettabile. Se le superfici agricole fossero trasformate in distese di campi fotovoltaici praticamente prive di vegetazione, il cambiamento dell’uso del suolo potrebbe portare a un’elevata frammentazione degli habitat, con conseguente perdita di biodiversità e di servizi ecosistemici associati.
Il fotovoltaico ha una grande necessità di suolo. Quella dell’agrivoltaico è una proposta che permette di integrare, invece che sostituire, la generazione fotovoltaica all’interno di un’azienda agricola, diventando così una opportunità per gli agricoltori. In Italia ci sono molte esperienze di successo nel settore, come ad esempio l’uso di impianti installati a circa 5 metri di altezza con pannelli “mobili” a inseguimento solare, che permettono di aumentare l’efficienza energetica. Al di sotto degli impianti, gli agricoltori riescono a coltivare normalmente il terreno.
L’emergenza climatica determinerà impatti sociali, economici e ambientali drammatici in ogni parte del mondo e può essere arginata solo puntando a fare delle fonti rinnovabili il centro di un sistema energetico che punti alla decarbonizzazione entro il 2040. In Italia raggiungere questo obiettivo è possibile, ma abbiamo bisogno di attuare misure coraggiose e praticabili in tutti i settori, in modo da ridurre i fabbisogni di energie fossili, attraverso l’efficienza energetica e lo sviluppo di impianti da fonti rinnovabili in ogni territorio. Eolico e fotovoltaico hanno raggiunto un grado di maturità tecnologica che, unitamente alla diminuzione dei costi e alla crescita dei volumi produttivi di moduli, consente oggi di affrontare il decollo definitivo di queste fonti come sostituti delle fonti fossili nella generazione elettrica.
Ma ci sono anche delle problematiche connesse con il loro sviluppo. In particolare, per il fotovoltaico un fattore limitante delle installazioni è, oggi, la disponibilità di superfici dove installare i pannelli e gli impianti.
L’utilizzo di pannelli in copertura di edifici o infrastrutture è sicuramente l’opzione primaria, ma sebbene sulla carta i numeri, in termini di estensione delle coperture solarizzabili, potrebbero essere sufficienti a soddisfare l’intero fabbisogno, tali superfici sono spesso soggette a vincoli di vario tipo (artistici, paesistici, fisici, proprietari, finanziari, civilistici, amministrativi, condominiali, ecc.) che ne rendono difficile la solarizzazione.
Il fabbisogno energetico
L’attuale sistema nazionale di generazione elettrica evidenzia un fabbisogno annuo di circa 320 TWh (dati Terna 2019). Di questi, 167 (il 52%) derivano da fonti termiche non rinnovabili. Oggi le rinnovabili nel loro complesso soddisfano quasi il 40% del fabbisogno elettrico e nello specifico il fotovoltaico rappresenta poco più dell’8% della generazione elettrica.
Nella transizione energetica che auspichiamo, entro il 2030, la fonte fotovoltaica da sola deve arrivare a sostituire almeno il 60% dell’attuale generazione da fonti termiche fossili, percentuale ottenibile moltiplicando per 5 l’attuale potenza installata e realizzando nuove superfici di pannelli per una potenza di oltre 75 GWp.
Considerando anche il fabbisogno supplementare legato alla necessità di realizzare accumuli di energia elettrica, ciò corrisponde ad una superficie di pannelli nell’ordine di 50.000 ettari, ovvero 500 milioni di mq. Si tratta di un’area molto vasta, che andrebbe collocata il più possibile su coperture esistenti, ma che comunque prevede l’installazione di una parte a terra, stimata in oltre 70.000 ettari, pari allo 0,6% della superficie agricola utilizzata e al 3% di incremento del suolo urbanizzato totale.
In uno scenario di questo tipo il fotovoltaico si prospetta come una fonte a rischio di eccessiva invadenza territoriale. Sarebbe inaccettabile – per impatto ambientale e agricolo/produttivo – che la realizzazione di nuova capacità fotovoltaica avvenisse con la trasformazione di superfici agricole in distese di pannelli su superfici prive, o quasi, di vegetazione. Altrettanto grave sarebbe il danno, in caso di sacrificio di superfici con coperture vegetali naturali spontanee e forestali.
Inoltre, oggi i nuovi progetti vengono portati avanti senza incentivi attraverso contratti diretti di vendita dell’energia. Il rischio è che prenda piede un modello di business con un approccio industriale alla risorsa suolo. In questo approccio l’obiettivo è massimizzare la produzione ‘monocolturale’ di energia, puntando alla massima concentrazione di pannelli entro un’area circoscritta e limitata, dove ogni attività agricola viene vista come un intralcio. A maggior rischio risulterebbe il Sud, in cui la crisi che sta attraversando l’agricoltura, legata anche a crescenti minacce climatiche, rischia di accelerare i processi di abbandono delle coltivazioni e di trasformazione incontrollata di ampie aree.
Il fotovoltaico in aree agricole
L’applicazione al suolo di grandi installazioni, per superfici nell’ordine delle decine o addirittura delle centinaia di ettari, è un intervento di significativa alterazione ambientale e paesaggistica, sia che si insedi su un terreno precedentemente coltivato, sia che coinvolga superfici in condizioni che possano essere definite ‘non produttive’. Da tempo la convivenza tra fotovoltaico e produzione agricola è auspicata e sperimentata, ma solo da alcuni anni è attivo un approccio sistematico e impostato su basi agronomiche.
Stiamo parlando dell’agrivoltaico, un sistema che permette di coltivare la terra producendo energia elettrica tramite pannelli fotovoltaici opportunamente posizionati rispetto al suolo, così da permettere il passaggio delle macchine agricole e la tradizionale lavorazione dei campi o il pascolo. Con questo sistema, la resa agricola è garantita e l’energia è prodotta senza consumo di suolo ed emissioni inquinanti in atmosfera. È una forma di convivenza particolarmente interessante per la decarbonizzazione del nostro sistema energetico, ma anche per la sostenibilità del sistema agricolo e la redditività a lungo termine di piccole e medie aziende del settore. Ma anche per stimolare il recupero di terreni agricoli abbandonati.
L’agrivoltaico permette di introdurre la produzione di energia da solare fotovoltaico nelle aziende agricole integrandola con quella delle colture e con l’allevamento: i pannelli fotovoltaici, che possono essere di diverso tipo, da quelli “mobili” a inseguimento solare a quelli da posizionarsi nei campi ad altezza variabili in base all’attività agricola così da consentire il passaggio delle macchine agricole, la lavorazione delle colture e il pascolo. Secondo alcuni studi scientifici, le terre interessate da installazioni agrivoltaiche possono registrare, in funzione del tipo di coltura e del disegno dell’impianto, un aumento delle produttività del 35-75%, per effetto della riduzione dello stress termico ed evaporativo.
Questo dato va a sfatare il dubbio principale che emerge in merito all’agrivoltaico, ovvero che la minor illuminazione del suolo causata dalla presenza di pannelli, porti a una minore produttività delle piante. In realtà proprio l’ombra dei pannelli mobili in alcuni momenti della giornata risulta essere un vantaggio, soprattutto in zone aride, in momenti di scarsità di pioggia o di massimo irraggiamento solare, riducendo l’evapotraspirazione delle piante e la necessità di irrigarle, portando anche a un risparmio idrico.
Il tipo di impianti da installare dovrà quindi essere deciso e progettato sulla base di studi di ottimizzazione che tengano conto delle colture agricole presenti e delle esigenze di luce e irrigazione specifiche per ogni coltura.
Gli ostacoli allo sviluppo dell’agrivoltaico
L’agrivoltaico rappresenta una opportunità anche per le aziende agricole, integrando la produzione di energia con quella delle colture e con l’allevamento, dando nuove opportunità di reddito a lungo termine di piccole e medie aziende del settore. Al contempo, l’integrazione del reddito aziendale con quello prodotto dalle installazioni permette di prevenire l’abbandono o dismissione dell’attività produttiva, consolidandone l’assetto produttivo rispetto alla dipendenza dai sussidi della Politica Agricola Comune.
Affinché questo modello decolli, è necessaria l’elaborazione di specifiche procedure e pianificazioni agroambientali, devono portare all’individuazione delle condizioni minime di compatibilità ecologica per gli impianti e ai criteri di esclusione delle aree. Ma servono anche nuove regole di tutela di paesaggio, suolo e biodiversità, a cui si devono aggiungere delle semplificazioni normative a partire dalle Linee guida per l’autorizzazione degli impianti da fonti rinnovabili.
Domande e risposte
È possibile coniugare la realizzazione di impianti solari fotovoltaici con l’agricoltura?
Ormai è ampiamente dimostrato, attraverso casi concreti e non solo nel nostro Paese, come la produzione di energia possa rappresentare un aiuto concreto per gli agricoltori. Senza mettere in competizione lo spazio per la produzione di cibo con quello per la produzione energetica.
L’ombra generata dai moduli fotovoltaici sul suolo riduce la resa agricola?
È dimostrato come per alcune specie non vi sia alcun impatto, mentre per altre come il grano può esservi addirittura un incremento nella produzione. Alcuni studi mostrano come l’ambiente sotto i pannelli sia molto più fresco in estate e più caldo in inverno, riducendo così i tassi di evaporazione delle acque di irrigazione nella stagione calda e provocando meno stress alle piante.
Per raggiungere gli obiettivi climatici europei sono sufficienti tetti e coperture?
Il raggiungimento degli obiettivi climatici passa dalla quantità di impianti rinnovabili che riusciremo a installare nei nostri territori. Il maggior contributo deve arrivare da solare ed eolico, con tassi di installazione superiori a quelli attuali. Molti studi dimostrano come tetti, coperture e superfici marginali non siano sufficienti al raggiungimento di tali numeri. Per questo sarà necessario utilizzare anche altre superfici, come quelle agricole. Secondo le stime di Legambiente, Greenpeace, Italia solare e Wwf, per raggiungere gli obiettivi di sviluppo del fotovoltaico servono 30-50 GW di installazioni: il 30% circa da realizzare su tetti e terreni industriali o contaminati, la parte restante su 40-70.000 ettari di terreni agricoli, pari allo 0,2-0,4% dei terreni coltivabili disponibili.
Esiste una normativa adeguata?
Vero, per questo è importante fare pressione sul governo affinché vengano al più presto approvate norme adeguate e uniformi che consentano la corretta e trasparente realizzazione di questi impianti.